EVOLUZIONE DELLA VITA
RELIGIOSA
NEL SUO CONTESTO
STORICO-SPIRITUALE
A. Veilleux, o.c.s.o.
Radicata nel mondo,
per il quale deve essere un segno della grazia salvifica del Cristo, la Chiesa,
pur vivendo del suo proprio dinamismo, ha una storia intimamente legata a
quella dell'umanità in generale. La sua evoluzione è sempre condizionata dai
fattori di ordine sociologico, spirituale e culturale che influiscono sulla
marcia dell'umanità. Sotto questo aspetto, la vita religiosa è solo una delle
svariate espressioni della Chiesa nel suo divenire storico. La sua storia
dunque non può essere dissociata da quella della Chiesa in generale; è questa
che le dà il significato suo peculiare.
Questa storia è soggetta
alle grandi leggi della vita dei gruppi; i periodi di prosperità si alternano
a quelli di decadenza. Non basta costatare il succedersi di questi periodi,
bisogna afferrare il senso del loro movimento. La storia è una sinfonia che
rivela il suo segreto solo a coloro che ne scoprono il ritmo interno.
Nelle pagine che
seguono, non vogliamo tracciare, neppure schematicamente, la storia della
vita religiosa. Supponendola già conosciuta, ci limiteremo a ricordarne le
grandi linee e ci sforzeremo soprattutto di afferrarne il ritmo vitale.
Speriamo di potervi
scoprire delle luci, che ci permettano di comprendere meglio la situazione
attuale della vita religiosa e ci aiutino a vedere più chiaramente come debba
inserirsi nella Chiesa e nel mondo attuale.
I. LE PRINCIPALI LINEE DI SVILUPPO
1. Origine e prime ramificazioni della vita religiosa (I - VII s.)
Fonte della vita
religiosa cristiana è unicamente il Vangelo. Tuttavia, essa risponde a tendenze
profonde dell'anima umana. Assistiamo perciò al fiorire di forme analoghe
di vita nelle civiltà antiche, ogniqualvolta esse raggiungono
un livello sufficientemente alto di spiritualizzazione.
Nel mondo greco, per
esempio, nel VI secolo prima dell'era
nostra, quando si registrò il passaggio dalla spiegazione mitica del mondo
alla spiegazione filosofica e teologica, Pitagora di Samo iniziava a Crotone
un gruppo di discepoli alla ricerca di Dio e alla contemplazione dei suoi
misteri, in una fraterna vita di ascesi e di contemplazione che annuncia quella degli asceti
cristiani.[1] E nel popolo ebreo, le fraternità
o habûroth farisaiche spuntarono quando, sotto l'influsso della predicazione
spiritualizzante dei profeti e sotto lo stimolo della dominazione straniera e della deportazione,
l'anima ebraica, in atteggiamento religioso, si volse verso il Messia atteso.[2] Evidentemente, la forma più vicina; a quella delle prime comunità cristiane,
la troviamo nelle comunità essenite, dove tutta la vita spirituale si fondava
sulla fedeltà al Dio dell'Alleanza.[3] Queste somiglianze si spiegano non tanto con ipotetici influssi diretti, quanto per il fatto che l'ascetismo
cristiano e l'essenismo sono nati entrambi da un medesimo fondo spirituale giudeo-cristiano.
Ogni vocazione cristiana
è un appello personale del Cristo. Fin dall'inizio della vita pubblica, il Signore
chiama a seguirlo alcuni discepoli, ai quali presenta esigenze molto radicali
di vita perfetta: Però, sarebbe illusoria la pretesa di trovare in questo
o quel passo del Nuovo Testamento una specie di istituzione della vita religiosa ad opera del Cristo. La vita religiosa
non, si, fonda su un testo determinato del Vangelo, ma si sprigiona dalla totalità del messaggio
evangelico.
Noi siamo abituati a una teologia della vita religiosa fondata
su una rigida distinzione tra precetti e consigli. Benché la nozione di «
consigli » evangelici sia ancora attuale ed abbia solide; basi nella Tradizione, l'esegesi biblica di questi ultimi anni
ci orienta verso una
sua nuova valutazione. È chiaro, infatti, che questa nozione non sgorga direttamente e immediatamente dal Vangelo, essa è
frutto piuttosto di uno sforzo di comprensione della vita cristiana perfetta.[4]
Innanzi tutto, come
ricorda il Concilio Vaticano II (LG nn. 40a e 420, il Cristo ha chiamato tutti
i cristiani indistintamente alla perfezione della carità, senza stabilire
gradi in questo ideale. Inoltre, il
Vangelo non ci presenta alcuna teoria della vita cristiana, ma casi da cui traspaiono chiaramente le esigenze
radicali della sequela Christi.
La chiamata dì Cristo è sempre un appello che impegna
l'uomo nella sua `totalità ed esige un'obbedienza radicale. Ogni volta che,
in un modo o nell'altro, l'unità profonda del cristiano rischia di rompersi,
il suo cuore di essere diviso, si esigono da lui (non soltanto si consigliano) gesti radicali: strappa
il tuo occhio, taglia la tua mano; vendi i tuoi beni. A poco a poco, non
attraverso una riflessione astratta ma attraverso la propria esperienza spirituale;
la Chiesa ha attinto dall'insieme della dottrina evangelica
ed ha messo in
risalto le grandi linee di una vita cristiana in cui questi atteggiamenti
radicali sono liberamente adottati come
una situa-zione permanente. In questo
senso, e in questo soltanto, possiamo parlare di « consigli »
evangelici:
Dai suoi discepoli;
Cristo aveva voluto una vita così radicale.[5] Le sintesi del Libro degli Atti ci dicono che i primi cristiani,
a Gerusalemme, subito dopo la Pentecoste, cercarono d'introdurre nella loro
nuova situazione la vita di Koinonia
che avevano condotto gli Apostoli con il loro Maestro, e che implicava una vita di comunione
fraterna, la partecipazione alla stessa tavola del Signore e la messa in comune dei beni. Attualmente, noi sappiamo
che queste descrizioni non rispecchiavano esattamente la realtà storica, sicuramente più sfumata, ma esprimevano piuttosto
un ideale. Tuttavia, è significativo il fatto che l'ideale di ogni comunità
sia stato visto in questa maniera radicale di vivere il Vangelo. A ragione,
dunque, ogniqualvolta la vita religiosa ha avuto inizio o è stata riformata,
si è ispirata a questo esempio.
Fin dalla prima generazione
cristiana, noi possiamo costatane la presenza di vergini e di asceti nelle
varie Chiese locali. Atti 21, 8-9, per esempio,
ci parlano delle quattro figlie di « Filippo l'evangelista », vergini e profetesse,
che abitavano nella casa paterna. Sappiamo con quale straordinaria rapidità,
approfittando della Pax romana e dei mezzi
di comunicazione forniti dall'Impero, il cristianesimo si diffonda allora
in tutto l'Impero romano, superandone anzi i confini, verso la Siria orientale,
verso il regno di Edessa o Osroene, e verso la Persia. Orbene, dappertutto
noi troviamo questi parthénoi dei due sessi, che vivono in
seno alla comunità ecclesiale e praticano non solo il celibato, ma una rigorosa
ascesi. Essi danno prova di uguale assiduità sia nel celebrare il culto che
nel visitare i poveri, gli ammalati e gli orfani. Attraverso i molteplici
scritti del II e del III secolo che ne parlano, sappiamo che appartengono
a tutte le classi della società e a tutte le professioni. In quei secoli di
generale corruzione dei costumi, essi sono la gloria delle Chiese, che li
considerano un gruppo a parte, e godono di particolari riguardi nelle assemblee
cristiane. Il loro proposito di vivere nella continenza è riconosciuto dalla
Chiesa e, ancor prima che si faccia parola di promessa esplicita, questo proposito
è generalmente considerato tale da non ammettere alcuna riforma.
Nei primi secoli,
una certa tendenza ascetica e rigoristica caratterizzò le Chiese giudeo-cristiane.[6] Simili tendenze affiorano in numerosi scritti come, per esempio, nel Liber Graduum e nei Vangeli apocrifi. Abbiamo l'impressione che,
nel loro insieme, queste comunità ecclesiali vivessero una vita che noi oggi
definiremmo « monastica ». In ogni caso, in seno a queste comunità e da questo
fondo giudeo-cristiano sono spuntati i primi gruppi di vergini e di asceti,
i Figli e le Figlie del Patto, di cui ci parlano, un po' più tardi, S. Efrem
a Nisibí e a Edessa ed Afraate in Persia. In questa linea, e in conseguenza
di un'evoluzione omogenea di questi gruppi, alla fine del III secolo, è nato
quel grande movimento così vario, così diverso, così sconcertante per la
molteplicità delle sue manifestazioni, designato con un nome che fu sempre
equivoco: il monachesimo.
Questo incremento
del monachesimo era stato preparato dal rapido sviluppo della Chiesa durante
tutto il III secolo. Mentre l'Impero romano, diventato una specie di dittatura
militare, per deva la propria vitalità e dava sintomi di una profonda decadenza
sia nel campo artistico, morale e letterario sia in politica, la Chiesa continuava
a crescere e ad irrobustirsi attraverso le persecuzioni. Rapidamente si è
propagata e si
è impiantata nelle contrade più lontane dell'Impero: l'Egitto, la Spagna,
l'Italia, la Gallia, i paesi bagnati dal Danubío. Quando l'editto di Milano
venne a confermare questo trionfo, il monachesimo era già vivo dappertutto.
Il fenomeno monastico
non è un prodotto esportato dall'Egitto in tutti gli altri paesi: è nato
in essi nello stesso periodo di tempo dalla vitalità propria di ogni Chiesa.
È questo che ne spiega l'estrema varietà delle forme.
Quando, nel 271,
Antonio si ritirò nella sua prima solitudine, in Egitto, esisteva già una
comunità di vergini nel suo villaggio, ed egli vi condusse sua sorella. Atanasio
ha scritto un De Virginitate ad uso delle vergini di Alessandria, e parecchi documenti, in particolare
le vite di S. Pacomio, confermano l'esistenza di comunità di monaci ecclesiastici
ad Alessandria. Nel deserto propriamente detto, alcuni monaci avevano preceduto
Antonio e legioni intere l'avrebbero seguito. Mentre, a Pispiro, egli formava
i suoi discepoli, altri anacoreti si riunivano attorno ad Ammonio e ai due
Macario, per formare i grandi centri semianacoretici di Nitria, di Scete e
delle Cellule, a sud di Alessandria. All'altra estremità dell'Egitto, alla
foce del Nilo, Pacomio gettava le basi della sua grande Congregazione cenobitica.
Poco dopo, in Cappadocia,
Basilio organizzava una forma analoga di cenobitísmo, ma nel cuore stesso
della grande Cesarea. Sotto la direzione di Eustachio di Sebaste, egli aveva
già fatto parte di un gruppo di asceti rigoristi molto vicini, nell'ispirazione
fondamentale, ai Figli del Patto della Siria e della Persia. Eletto vescovo
ed usufruendo dell'esperienza acquisita in un viaggio attraverso i.
grandi centri monastici del Basso Egitto, della Palestina, della Siria e
della Mesopotamia, Basilio canalizzò le energie di questo movimento; organizzò
i suoi asceti in fraternità che sarebbero diventate la forma di monachesimo
più diffusa in Oriente. Queste fraternità, dedicate alla ricerca di Dio e
alla preghiera contemplativa, vivevano nell'ambito della Chiesa locale, pur
non abdicando alla :solitudine. Nella grande Basílíde una specie di Città
della carità fondata da Basilio, i monaci e le monache si dedicavano alla
cura dei malati, dei poveri e dei pellegrini. Essi erano inoltre, in qualche
modo, gli animatori della vita liturgica della comunità locale.
Anche se Basilío,
a differenza di Pacomio, non istituì alcuna Congregazione, la sua forma di
vita monastica si diffuse non solo nelle fondazioni da lui create nel Ponto; nella Cappadocia
e nell'Armenia romana, ma nella Siria del Nord, nei paesi del Caucaso e nell'Asia
Minore occidentale. Sotto l'influsso di Gregorio di Nissa, che fu il grande
teologo del monachesimo basiliano, la dottrina di Basilio si diffonderà in
tutto il mondo monastico, anche in Occidente, attraverso lo Pseudo-Macario,
Evagrio del Ponto, Cassiano, Giovanni Climaco; lo Pseudo-Dionigi, Massimo
il Confessore, ecc...
Il movimento monastico
attraversa tutta la Palestina e la Siría orientale e occidentale. In Palestina,
senza contare il monachesimo latino che si era stabilito a Gerusalemme e
a Betlemme, Ilarione e Caritone avevano impiantato su solide basi il loro
sistema di laure già fin dall'inizio del IV secolo. Alla fine di questo stesso
secolo, Saba, discepolo del grande Eutimio, vi aveva fondato parecchie laure,
cenobi, ospizi, ecc. Gli eremiti - che si permettevano ogni sorta di stranezze
- vi abitavano numerosissimi. Nell'Alta Siria, la pianura di Dana era coperta
di monasteri, e alla foce dell'Eufrate, attorno !a Edessa, Giuliano Saba
e Giacomo di Edessa moltiplicavano le laure e i monasteri. In regioni più lontane,
a Ninive e in Persia, i monaci erano !altrettanto numerosi. Anche l'Armenia,
la Georgia, Costantinopoli avevano le proprie tradizioni monastiche.
In Occidente; dove
ben presto si fa sentire l'influsso dell'Oriente, il fenomeno
monastico. presenta la medesima spontaneità e la stessa :vitalità.
In Gallia, già nella prima metà del IV secolo, la vita monastica si propaga in tutte le
classi sociali, ma soprattutto nelle, campagne. Dopo una leggera flessione
nel V secolo, che coincide con le invasioni dei Vandali, degli Unni e dei
Visigoti, essa, rifiorisce nel VI secolo. I santi merovingi, hanno spesso
una carriera molto movimentata, essendo di volta in volta eremiti, cenobiti,
predicatori, vescovi... Tra i grandi centri che emergono, è doveroso ricordare Marmoutiers, Léríns, Marsiglia.
Una delle fondazioni più originali è indubbiamente quella di Marmoutíers,
dove coesistono tutte le forme di monachesímo, dal monaco ecclesiastico impegnato
nel servizio pastorale con il suo vescovo, al monaco laico occupato
a copiare manoscritti.,
In Italia, S. Atanasio,
durante il suo esilio, aveva destato nelle anime la tendenza ascetica propría
a tutta la vita cristiana, e S. Gerolamo ravvivò questo ideale; Già verso
il 340, Costantina, figlia di Costantino il Grande, aveva fondato a Roma una
comunítà di vergini presso la basilica di S. Agnese, e al tempo di Gerolamo, le patrizie romane
conducevano nei loro palazzi dell'Aventino una vita di preghiera, di ritiratezza
e di penitenza tutta monastica. A Vercelli, nel 363, il vescovo Eusebio organizza
in comunità monastica gli ecclesiastici della sua chiesa cattedrale. Altrettanto
fa Ambrogio a Milano. Un po' più tardi, nel VI secolo, in un'Italia estenuata dalla
lotta contro Barbari e nel momento in cui, a Roma, il papato attraversa una
crisi profonda, S. Benedetto getta le basi di una tradizione monastica destinata
a dominare tutto l'Occidente monastico fino ai nostri giorni.
In Africa, Agostino fonda un, monastero laico presso la sua
cattedrale, organizzai suoi ecclesiastici in comunità monastica, e riunisce le vergini
in comunità. Parallelamente ai gruppi di asceti che già esistevano prima di Agostino,
questo monachesimo-rimarrà in vita finché l'invasione araba: distruggerà praticamente
ogni vita cristiana.
Lo spettacolo è identico
nel lontano paese dei Celti. Sono molto simpatici questi monaci celti, innamorati della solitudine ed eterni pellegrini
di Dio, ora rifugiati su un'isola deserta, ora in giro per il mondo, a evangelizzare
i pagani! Essi saranno raggiunti nelle loro lontane contrade del Nord da S,
Agostino- e dai suoi monaci, di cui però non apprezzeranno le vedute allineate
su quelle di Roma. Da questi paesi nordici partirà il focoso e instancabile
Colombano, alla fine del VI secolo, per seminare il cristianesimo e il monachesimo
nella Gallia del nord e dell'est, come farà poco dopo Willibrordo nella Frigia
e Bonífacio in Germania.
Questa rapida espansione
del monachesimo in tutto il mondo cristiano è veramente un'epopea straordinaria.
Solo un intervento dello Spirito può spiegare un movimento così generale,
forte, spontaneo, che scaturisce contemporaneamente dappertutto e si diffonde
come un lampo.
Dunque, nei primi
sei o sette secoli della storia della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, la vita cristiana è vissuta in tutte le
sue esigenze radicali, secondo i consigli evangelici, da persone di tutti
gli ambienti e di tutte le condizioni, dell'uno e dell'altro sesso. Nell'ambito
delle Chiese locali, vi sono vergini e asceti, che abbracciano la vita di
celibato e di ascesi senza rinunciare alla loro normale condizione sociale.
Altri si consacrano alle opere di misericordia. Alcuni si riuniscono in comunità,
pur continuando a vivere in seno alla Chiesa locale. Altri invece si ritirano
in disparte, per dar vita a fraternità di asceti o per vivere nella solitudine
più assoluta. Certi vescovi esortano i loro ecclesiastici a vivere con loro
questa vita di comunità e di ascesi. Sono così vari i modi di vivere i « consigli
evangelici » che fin da questo momento possiamo trovare nella Chiesa tutte
le forme di vita religiosa oggi
conosciute.
Però, a partire dal
III secolo, questo movimento ascetico si è sviluppato soprattutto in una direzione
determinata, quella che sarà poi chiamata la vita monastica propriamente detta.
Benché la terminologia sia molto vaga, fin dall'inizio del IV secolo, la parola
monaco, nonostante il suo senso etimologico, è già utilizzata per indicare
tutte le forme di vita secondo i consigli evangelici. Il termine monaco, cioè,
ha allora un significato vasto quanto il termine « religioso » oggi. L'equivoco
è indubbiamente increscioso, ma effettivamente esiste. Ed anche ai nostri
giorni, benché la parola abbia riacquistato un significato più preciso, più
conforme, al suo contenuto etimologico, chi può vantarsi di possedere un criterio
sicuro per definire quali forme di vita consacrata possano essere considerate
« monastiche » e quali non possano essere considerate tali?
L'espansione straordinaria
del movimento di vita strettamente monastico avrebbe avuto indirettamente
ripercussioni molto importanti su tutta la storia della vita religiosa. Fino
a quel momento, infatti, gli asceti, indipendentemente dalla loro forma di
vita, erano soggetti ai vescovi locali, come tutti gli altri cristiani, ed
al medesimo titolo. I vescovi non intervenivano nella vita interna delle comunità,
a meno che non fosse interessato il bene comune dei fedeli. Tuttavia, a mano
a mano che il movimento monastico si sviluppava, doveva strutturarsi. Ed ecco
moltiplicarsi gli interventi dell'autorítà gerarchica per precisare queste
strutture, e, se necessario, per condannare gli abusi. La nascente legislazione
« religiosa », quindi, in pratica si occupò solo dei monaci propriamente detti.
La legislazione si sviluppa e continua a fare astrazione dalle altre forme
di vita consacrata; queste, che non sono riconosciute, vengono gradatamente
relegate ai margini, fino al giorno in cui, con la riforma carolingia, una
sola forma di vita « religiosa » sarà riconosciuta nella Chiesa, almeno in
Occidente: la vita monastica condotta in un chiostro; nella solitudine. Anche
le vergini, che per tradizione erano vissute nell'ambito delle Chiese locali,
saranno sempre più caldamente invitate a chiudersi in un chiostro.
Ma non anticipiamo
i fatti. Notiamo ancora che una tendenza analoga si manifestò in Oriente.
Già il Concilio di Calcedonia aveva emanato leggi che mettevano esplicitamente
i monaci sotto la giurisdizione dei vescovi locali (canone 3). Qualche tempo
dopo, anche l'imperatore teocratico Gíustiniano, nelle sue Novelle (5, 123, 133), si occupò dei monaci: erano riconosciuti solo
i cenobi in cui si conduceva una totale vita comune, alle dipendenze
di un igumene, che godeva di un potere quasi assoluto. I solitari erano solo
tollerati e il loro numero doveva essere ristretto. Il controllo dei monasteri
e della loro osservanza era affidato a funzionari del patriarcato.
2. Dalla riforma carolingia al Concilio di Trento
Il grande movimento
monastico più sopra descritto si è realizzato quando l'Europa stava entrando
in un'era di tenebre e di barbarie: è questo il suo aspetto più straordinario.
A partire dall'inizio del V secolo, infatti, assistiamo a un ripiegamento
preoccupante della civiltà, ripiegamento che si manifestò nella degradazione
dei costumi e in un calo
spaventoso della cultura. Nella Chiesa stessa, si assisteva ad una certa contaminazione
della fede e dei costumi ad opera delle usanze pagane. I monaci fecero molto
per salvaguardare la cultura e mantenere i valori morali, ma anch'essi
finirono per essere intaccati. I monasteri erano gremiti di « neoconvertití
» che avevano appena ricevuto una leggera verniciatura di cristianesimo, il
fervore e i costumi monastici, come i costumi clericali, si deteriorarono
progressivamente.
Se la decadenza della
vita degli ecclesiastici era stata più rapída, la loro riforma venne prima.
Ricordiamo che alcuni vescovi - Agostino a Ippona e Eusebio a Vercelli, per
esempio - avevano :cercato di far condurre al loro clero un'autentica vita
« monastica ». Ovviamente, non fu possibile imporla dappertutto, ma l'ideale
di vita comune pura e semplice era più accessibile alla maggior parte degli
ecclesiastici. Nell'VIII secolo, S. Crodegango (766) fu il promotore di questo
rinnovamento di vita comune (vita canonica) tra il clero. Si trattava di semplice vita comune! in cui ciascuno conservava i . suoi beni privati, e non di una pratica integrale
dei consigli evangelici. Crodegango redasse per i suoi « canonici » una Regola
profondamente influenzata da quella di S., Benedetto ed a cui la riforma
carolingia avrebbe dato un'importanza abbastanza grande.
Come aveva fatto
Giustiniano in Oriente, Carlomagno pose mano alla riforma di tutta l'organizzazione
ecclesiastica del suo regno, iniziativa questa che s'inseriva perfettamente
nelle sue vedute politiche. Egli ebbe una cura tutta particolare dei canonici e dei monaci. Presso le chiese,
vivevano ecclesiastici che conducevano vita veramente monastica o semplice
vita comune. Carlomagno ordinò che si mettesse
fine a questo equivoco e , si
adottasse o la vita monastica tra le mura di un chiostro
e secondo la Regola di S. Benedetto,
oppure la vita comune dei canonici secondo la Regola di S. Crodegango.
Questa decisione
avrebbe avuto gravi conseguenze per il futuro della vita religiosa. Innanzi tutto, l'unica forma Ai :vita religiosa
ormai ammessa, cioè. l'unica maniera riconosciuta "di praticare i consigli
evangelici, -è la vita monastica
propriamente detta. I canonici di quel tempo (da non confondere con i canonici
regolari che appartengono a un'epoca posteriore) non sono veri « religiosi
»; potremmo assimilarli piuttosto alle nostre comunità di vita comune senza
voti. Inoltre, la stessa vita religiosa è livellata. Essa aveva conosciuto
fino a quel momento una grande varietà di forme. Certo, alcune grandi Regole
si erano imposte nella pratica, in particolare quelle di S. Benedetto e di
S. Colombano; ma non vi era in questo nulla di rigido. Venivano applicate
con libertà, e il monachesimo non cessava di evolversi e di adattarsi alle
circostanze
di luogo e di tempo. Con la riforma carolingia, s'inaugura un regime più severo
ed affiora un nuovo concetto di « Regola ». Prima si era soliti considerare
la Regola monastica come un documento spirituale di cui si riteneva
l'ispirazione profonda: Tutte le grandi Regole costituivano il patrimonio
comune dei monasteri, di modo che una stessa comunità poteva considerare due
o tre Regole come base della propria vita spirituale.
Era impensabile che
si potesse applicare alla lettera l'organizzazione materiale prevista da
una Regola scritta per un altro secolo. D'ora inpoi, la Regola monastica,
quella di S. Benedetto, non è più semplicemente considerata un documento,
spirituale a cui la vita deve fondamentalmente ispirarsi, ma il codice giuridico
che precisa fin nei particolari che cosa sia la vita monastica. È questa
l'origine di un certo giuridismo insinuatosi nella tradizione religiosa occidentale
e di cui essa non è più riuscita a liberarsi completamente.[7]
Forte dell'appoggio
di Carlomagno e del suo successore, Ludovico il Pio, Benedetto d'Aniane si
dedicò a promuovere questa riforma. Un Capitulare monasticum destinato a precisare
l'interpretazione e l'applicazione della Regola di S. Benedetto fu redatto nel Sinodo
di Aix-la-Chapelle dell'817. Venne perfino fondato una specie di monastero
modello (Indem) . Quando la necessità lo richiedeva, i funzionari imperiali
vigilavano sull'applicazione dei decreti riformatori nei monasteri. Finché
fu in vita l'energico Benedetto d'Aniane, questa riforma ottenne un certo
successo, crollò però dopo la sua morte. Si era sperimentato una volta per
sempre che una riforma della vita religiosa fondata soprattutto sulla riforma
delle istituzioni era destinata a fallire. La riforma della vita monastica
ebbe la stessa sorte del « rinascimento carolingio » nel suo insieme. Infatti,
questo primo tentativo di fondare la pace, la prosperità e la civiltà sulle
rovine dell'Impero romano falli, e l'Impero di Carlomagno si disgregò. Nuove
orde di Barbari invasero l'Europa: i Vichinghi dal nord, i Saraceni dal sud,
gli Ungari dall'est. Un altro periodo oscuro incominciava per l'Occidente.
In Oriente, il cenobitismo,
un po' indebolito dalla crisi íconoclastica, conobbe un grande sviluppo alla
fine del'VIII secolo e all'inizio del IX, con la riforma attuata da Teodoro
Studíta, nella linea dell'ideale monastico di Basilio e di Doroteo di Gaza.
Fortunatamente per
l'Occidente, il soffio spirituale che era mancato alla riforma carolingia
suscitò, circa un secolo dopo il Sinodo di Aix-la-Chapelle, una grande riforma
monastica, quella di Cluny.[8] All'interno dei quadri giuridici creati da Benedetto d'Aniane, questa riforma
avrebbe segnato un ritorno alle esigenze monastiche fondamentali: silenzio,
lavoro, stabilità, preghiera. I monasteri cluniacensi furono e rimasero per
molto tempo centri di intensa vita di preghiera e di unione con Dio, in un
mondo che si abbandonava più che mai alla violenza, alla dissolutezza, all'ingiustizia.
La centralizzazione ad oltranza di Cluny aveva lo scopo di liberare i singoli
monasteri dalla dipendenza che li legava ai signori feudali, in un mondo in
cui il sistema feudale, di cui la politica carolingía aveva gettato le basi,
diventava sempre più forte. Paradossalmente, la « Congregazione » di Cluny
diventò così un ingranaggio importante di questo mondo feudale e si trovò
largamente implicata nella vita politica e sociale di tutta l'Europa.[9]
Nell'XI secolo, quando
le istituzioni feudali raggiungevano il loro più alto grado di sviluppo, e
si assisteva, nell'ambito del nuovo impero ottoníano, ad una compenetrazione
sempre maggiore della Chiesa e dello Stato, cominciò a delinearsi in seno
alla Chiesa un grande movimento verso una riforma fondamentale che avrebbe
dato nuove basi alla Cristianità. Questa riforma che si manifestò in primo
luogo attraverso la lotta per le Investiture e la lotta contro la Simonia
e il Nicolaitismo, raggiunse l'apice durante il pontificato di Gregorio VII (1073-1085) :
giustamente perciò si può parlare di riforma gregoriana.
Con essa incominciano per la Chiesa d'Occidente tre
secoli grandiosi di cui l'arte gotica è una pura espressione. Periodo straordinariamente
ricco di uomini illustri e di spirito creatore, in cui abbondano i santi e
i mistici. Sventuratamente proprio allora Bisanzio cade sotto i colpi dei
Crociati! Ma già nel 961, quindi poco dopo la riforma occidentale di Cluny,
il monaco Atanasio, ispirandosi alla riforma studita, aveva posto la prima
pietra del monastero di Lavra, sul monte Athos, dando così inizio ad una tradizione
che, grazie ad una esistenza millenaria caratterizzata da periodi alterni
di grandezza e di decadenza, sarebbe giunta fino a noi.
Nell'ambito del significativo
movimento della riforma gregoriana si fece sentire ben presto la necessità
di una riforma della vita monastica.[10] Essa non era richiesta dalla rilassatezza dei monasteri;
la riforma di Cluny aveva anzi portato frutti eccellenti. Ma in un mondo in
via di evoluzione, in cui la Chiesa si
dava nuove basi per i suoi rapporti con la società profana, tutti gli elementi
della vita della Chiesa erano rimessi in causa, ed in primo luogo la vita
monastica. Di fronte ai grandi monasteri tradizionali, che possedevano vaste
proprietà terriere ed erano profondamente implicati in tutti gli ingranaggi
della vita economica, politica ed ecclesiastica, prese forma un movimento
molto forte orientato verso la povertà, la solitudine e l'ideale di vita fraterna
della primitiva comunità di Gerusalemme. Nel 1012 S. Romualdo avvìa una istituzione eremitico-cenobitica a Camaldoli.
Giovanni Gualberto fonda verso il 1038
Vallombrosa. Si susseguono poi le
fondazíoni di Stefano di Thiers a Muret nel 1076 (fondazione trasferita
in seguito a Grandmont, da cui prese il nome); di S. Brunone a La Chartreuse presso
Grenoble nel 1084; di Roberto di Molesme a Citeaux nel 1098 e ,di
Roberto d'Arbrissel a Fontevrault verso il 1100.
La riforma gregoriana è un punto importante di transizione nella
storia della vita religiosa. Nel IX secolo; infatti, si era giunti, con la
riforma carolingia, ad un livellamento totale della vita religiosa. A partire
dalla riforma gregoriana e dalle
numerose fondazioni da essa suscitate, si assiste ad una specie di « riconquista
» durata fino- ai giorni nostri. Gradatamente, i vari modi di vivere i consigli
evangelici riacquistano il diritto all'esistenza. E la prima riconquista è
appunto quella di far riconoscere di nuovo
il carattere carismatico del monachesimo;
che ritrova così una certa spontaneità e capacità creativa: Infrangendo i
quadri giuridici, esso si !sviluppa sotto tutte le forme: monachesimo urbano
e monachesimo del: deserto, cenobítismo ed eremitismo, dosaggi differenti
di solitudine e di vita comunitaria.
Parallelamente a questa
prima riconquista del pluralismo monastico, gli ecclesiastici dediti al ministero
pastorale riacquistavano essi pure il diritto di vivere i consigli evangelici
pubblicamente e in una maniera riconosciuta dalla Chiesa Appaiono allora i
canonici regolari. Il termine canonicus che, nei primi secoli, era stato utilizzato per designare
gli ecclesiastici che figuravano nei registri o nel canone di una Chiesa,
verso la fine del VI secolo tende ad essere riservato
agli ecclesiastici che conducono
vita comune. Abbiamo visto che questa vita comune -poteva essere una autentica
vita monastica, oppure - soprattutto dopo S. Crodegango - una vita comune
senza rinuncia alla proprietà e senza l'obbligo di mettere in comune i propri
beni. Dopo la riforma carolingia, i canonici di vita comune semplice erano
nettamente distinti dai monaci. Nel X secolo appare già l'espressione canonicus
regularis, ma non con il senso
che noi le diamo oggi. Si vuol distinguere il canonicus saecularis (che vive indipendente, nel mondo) dal canonicus
regularis (fedele all'antico
ideale di vita comunitaria della Regola di S. Crodegango). Nell'XI
Secolo, parecchi riformatori, in
particolare S. Pier Damiani, si sforzeranno d'ímporre la vita comune a tutti
i canonici, ma le due forme sussisteranno.
Tuttavia, nello stesso
periodo di tempo, un nuovo movimento si fa strada tra il clero ed appare una
nuova forma di vita clericale. Pullulano allora i gruppi di canonici regolari
(in senso stretto) : tutti si riallacciano alla Regola attribuita a S. Agostino, praticano integralmente - pur non essendo monaci - i consigli
evangelici, non solo osservano il celibato e la vita comune, ma rinunciano
totalmente ai beni materiali. Nel 1039, nella chiesetta del quartiere S. Rufo,
ad Avignone, quattro canonici della cattedrale fondano quello che diventerà.
l'Ordine di S. Rufo, destinato ad un rapido sviluppo (nel 1151 conterà 1.100
case). Tra le numerose fondazioni analoghe, è doveroso- menzionare
almeno i canonici di S. Vittore (a. 1113) e quelli di Prémontré (a. 1120).
La vita secondo i
consigli evangelici è quindi di nuovo possibile non soltanto alle varie categorie
di monaci che vivono fuori del: mondo, ma anche agli ecclesiastici che attendono
al servizio delle Chiese locali. Sarà pure alla portata dei laici che vivono
nel mondo? Si ha l'impressione che costoro siano un po' trascurati in questo contesto religioso in ,cui la religione
tende a diventare un'incombenza propria del clero e dei monaci.
Il caso delle « vergini
» è caratteristico. Nei primi tempi della Chiesa, erano state numerose le
vergini che vivevano in seno alle comunità ecclesiali, ove erano riconosciute e rispettate. Durante la grande espansione del monachesimo,
però, esse erano state assorbite dal movimento: ovunque si sviluppava il monachesimo maschile,
la vita monastica femminile si stabiliva alla sua ombra. Tuttavia le Chiese
locali non furono completamente private dell'ornamento delle loro vergini,
ed alcune di esse continuarono a vivere nel mondo. Ben presto si giunse alla
distinzione tra le virgines velatae (che conducevano
la vita monastica) e le virgines non velatae (che vivevano nel mondo). Queste ultime erano fonte di preoccupazione per
le autorità sia ecclesiastiche che imperiali; i Concili, i Papi e i vescovi cercarono di riunire queste donne devote
in gruppi di vita comune, imponendo loro la stessa regola dei canonici: di
qui il nome di canonichesse. Nel X secolo, con la decadenza dell'istituzione
canonicale, venne loro applicata la stessa distinzione stabilita per i canonici:
vennero distinte in canonichesse regolari e in canonichesse secolari. Queste
ultime, semplici gruppi di pie donne, generalmente nobili di origine, scomparvero
completamente con la Rivoluzione francese; le prime, invece, diventate vere
religiose, esistono ancora ai nostri giorni. Nel Medioevo, gruppi di moniali
erano affiliati a ciascuno dei grandi Ordini religiosi.
In pratica, a partire
dal X e XI secolo, non è più possibile ad una donna abbracciare la vita di
celibato per il Regno senza murarsi, in un modo o nell'altro, dietro la clausura
di un monastero. Sarà necessario attendere parecchi secoli prima che si ammetta
che una donna può essere religiosa senza rinchiudersi in un chiostro. In quei
secoli di rozzi costumi, non si riusciva ad immaginare che una donna potesse
mantenersi onesta senza essere protetta da un marito o da un muro: aut maritus
aut murus!
All'inizio del secolo
XIII, un fattore nuovo di portata straordinaria interviene nell'evoluzione
della vita religiosa. In tutta la storia della vita religiosa, nulla è più
poetico, più delizioso e mistico insieme dell'origine dei Frati minori. Nel
secolo precedente avevamo assistito a profonde riforme della vita monastica
e all'istituzione di austere comunità di canonici regolari. Or ecco che un
aitante giovane di Assisi, mosso dalla grazia di Dio e colpito da una frase
del Vangelo, decide di abbandonare allegramente tutte le sue ricchezze per
consacrarsi a madonna povertà e alla cura dei poveri, senza per questo - ecco
la novità - pensare di chiudersi in un monastero! D'altronde, quale clausura
avrebbe potuto fermare questo vagabondo di Dio e che limiti si potevano mettere
alla libertà dei figli di Dio così pienamente assunta? Qualche anno dopo,
nel febbraio del 1200, un'altra frase del Vangelo gli tocca il cuore: « Andate
e predicate! Dite: il regno dei Cieli è vicino! ». Senza porsi problemi, senza
pensare minimamente a diventare ecclesiastico, senza neppure sognarsi di «
fondare » qualche cosa di nuovo, Francesco, semplice laico, incomincia a predicare
con tanta naturalezza, ma in modo così sublime! Ben presto dodici giovani
lo seguono e ne condividono l'originale vita di apostolo. Il grande Papa riformatore
Innocenzo III li incoraggia. Nel 1210, un'incantevole ragazza di Assisi si
ritira nella solitudine e va ad abitare presso il convento in cui Francesco e
i suoi frati vivono nella fraternità, non tardando a diventare la fondatrice
delle Povere Donne. Inoltre, uomini e donne che vivono nel mondo trattenuti
dai loro doveri, mossi dalla predicazione e dall'esempio dei Frati minori,
si raggruppano per rinnovare e vivere in profondità la vita cristiana. È la
formula dei Terzi-Ordini: nei secoli seguenti, essi saranno un fattore importantissimo
nel lento sforzo di declerícizzazione della religione cristiana.
Francesco aveva voluto che i suoi discepoli fossero semplici cristiani che
vivevano, nel mondo e per i cristiani del mondo, la vita del Cristo povero,
nella penitenza, nella preghiera e nella predicazione. Istituzionalizzandosi,
la sua comunità diventò rapidamente un ordine clericale. La sua fondazione,
però, occupa un posto di estrema importanza nella dinamica della vita religiosa,
poiché la pratica dei consigli evangelici aveva nuovamente varcato la soglia
dei monasteri e dei conventi di canonici, per calcare le grandi strade, nella
piena libertà dei figli di Dio.
Nel 1215, il Concilio
Lateranense IV, preoccupato della proliferazione un po' anarchica delle Famiglie
religiose, decretò che nessun nuovo Ordine fosse autorizzato e che chiunque
volesse fondare un'associazione religiosa adottasse una regola già approvata.
Questa legge infelice, che arrestava ancora una volta l'evoluzione della vita
religiosa, non fu applicata ai Frati minori per espressa volontà di Innocenzo
III.
Mentre il Poverello
dava inizio alla sua vita di trovatore di Dio, un giovane canonico regolare premonstratense, di nome
Domenico, intraprendeva, insieme al suo vescovo, un corso di predicazione
nella Linguadoca cristiana, desolata dall'eresia albigese. Da questa esperienza
sarebbe nata un'associazione che avrebbe alleato la testimonianza della fraternítà
e di una vita povera e penitente ad una totale dedizione all'insegnamento
e alla predicazione sotto tutte le latitudini del globo. Non avendo avuto_
la fortuna, che ebbe Francesco, di fare approvare la sua Regola di vita prima
della decisione restrittiva del 1215, Domenico dovette adottare una Regola
già esistente, e scelse quella dei canonici regolari, attribuita a S. Agostino.
Era nato un nuovo ordine, simile sotto molti aspetti a quello di Francesco:
sintesi felice di un'esistenza apostolica che accetta l'austerità e lo spoglíamento
di una vita monastica, ed è organizzata secondo le regole della vita dei canonici
regolari.
Altre comunità di Mendicanti nacquero nella
seconda metà di questo stesso secolo, in particolare i Carmelitani e gli Eremiti
di S. Agostino La fondazione degli Ordini mendicanti è importante perché, con essa, viene riconosciuto il principio
di una vita consacrata, in cui la pratica integrale dei consigli evangelici è inserita in una
vita di laici o di ecclesiastici impegnati per vocazione nell'apostolato attivo in mezzo
al mondo. Anche la creazione dei Terzi-Ordini ha la sua importanza nella
storia della promozione lenta del laicato nella Chiesa. Però, la decisione
del 1215 avrebbe notevolmente frenato l'evoluzione successiva; obbligando
le nuove fondazioni suscitate dallo Spirito ad entrare nei quadri che avrebbero
rallentato il pieno sviluppo del loro carisma proprio.
Tuttavia, il XII
secolo aveva dato vita ad alcuni Ordini di un genere un po particolare. Anch'essi, a modo loro, concorrevano
alla riconquista del pluralismo delle forme della vita religiosa. È inutile
che ci fermiamo sul fenomeno tipicamente medievale degli Ordini militari e cavallereschi.
Più conformi all'ideale della vita religiosa sono certamente gli Ordini ospedalieri;
gli Antoniani, i Fratelli dello Spirito Santo, i Fratelli di S. Lazzaro, i
Crocigeri, ecc. In generale, questi assunsero la struttura dei canonici,
regolari, o furono assimilati ad essi in epoca posteriore: è il caso degli Antoniani,
fondati nel 1095 e riorganizzati,da Bonifacio VIII nel 1297 in Congregazione
di canonici regolari. Un'altra iniziativa che esula un poco dal comune fu
quella degli Ordini redentori: í Trinitari fondati nel 1198 e i Mercedari fondati nel 1223. Queste fondazioni,
pur dovendosi adattare a quadri per nulla appropriati, anticipano quello
che saranno le nostre comunità religiose consacrate ad un'opera concreta di
misericordia corporale.
In Oriente non vi fu questa fioritura
di Ordini religiosi perché esso non conobbe il livellamento imposto alla vita religiosa
occidentale dalla riforma carolingia, ed il monachesimo si conservò quindi più duttile, venato di pluralismo.
Alcuni « monaci » sanno eventualmente compiere tutti i servizi (predicazione, `assistenza dei malati,
ínsegnamento), per i quali in Occidente sono fondate nuove istituzioni.
In Occidente, i secoli
XII e XIII sono « epoche d'oro » sia per i grandi Ordini tradizionali sia per gli Ordini, nuovi. La linfa vitale è dappertutto abbondante.
Gli Ordini monastici moltiplicano i loro monasteri e conservano il fervore;
gli Ordini mendicanti portano la Parola di Dio non solo in Europa, ma nelle
più remote terre di missione.
Questo grande movimento
di espansione fu alla base di uno sforzo di riflessione teologica e di una certa sistematízzazione
della vita religiosa: Questa sistematizzazione però, in sé necessaria e utile, ebbe i suoi inconvenienti. Finora; l'impegno nella vita religíosa
comportava solo una promessa; una professio, con cui si accettava un determinato :tenore di vita. L'impegno al
celibato, o « voto di verginità » era spesso menzionato esplicitamente. Negli
Ordini nuovi, ed innanzitutto tra i Francescani, la formula di professione
rende espliciti i tre voti diventati tradizionali; povertà, castità e obbedienza. Contemporaneamente„
la distinzione già nota in, precedenza tra il «,semplice voto;» - o voto semplice
- di castità (non ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa) e il voto solenne
(riconosciuto e consacrato dalla Chiesa -con gesto rituale) si accentua. Questa
distinzione si allarga poi agli altri due voti. Siccome tutti i grandi Ordini
monastici avevano la professione solenne; ben, presto
si fece strada l'idea
che senza. i tre voti solenni (alcuni dei quali potevano anche essere espressi
implicitamente:) non ci fosse consacrazione religiosa, e che questi tre voti
- chiamati d'ora innanzi i tre « voti essenziali » dello stato religioso
- fossero una condizione sine qua non di questo « stato
». Per le religiose, la situazione fu ancor più restrittiva a partire dal
XIII secolo; poiché i voti solenni (costitutivi dello stato religioso) furono indissolubilmente
legati all'obbligo della clausura papale stretta.
Questa sistematizzazione
e i quadri legislativi rigidi da essa scaturiti non ci sorprenderanno,
se ricordiamo che questo nuovo incremento della vita
religiosa affonda le sue radici nella riforma gregoriana che fu
per la Chiesa un periodo d'istituzionalizzazione
e di centralizzazione; caratterizzato da uno sviluppo molto forte del diritto canonico.
Sulla nuova concezione giuridica
dei voti si innestò una nuova teologia della vita religiosa fondata sulla
nozione dei « tre consigli evangelici, teologia che ha dominato fino ai nostri
giorni. Tuttavia, essa sta cedendo il passo ad una visione più globale del
dato evangelico sulla vita perfetta.
La vita religiosa
è ormai considerata molto più come uno stato che come una
vita, e questo fatto tradisce una preoccupazione
tutta medievale. Sono riconosciuti come religiosi solo coloro che soddisfano
le esigenze richieste per far parte di questo « stato »; e non è riconosciuta
la possibilità di vivere i consigli evangelici fuori di questi rigidi quadri.
Però, la vita, quando è abbastanza forte, è in grado di rompere gli schemi
troppo rigidi e sa crearsi le proprie leggi. Accanto
alla vita religiosa ufficiale si sviluppa tutto
un movimento, che annuncia le forme di vita di molte nostre Congregazioni
moderne. I Terziari di S. Francesco e di S. Domenico sono i primi a dar vita
a questo movimento. Alcuni di essi, in numero sempre maggiore, non tardarono
ad adottare la vita comune, con legami giuridici più o meno stretti. Accadeva
perfino che facessero voto di celibato. L’organizzazione di questi movimenti
fu molto favorita dall'approvazione concessa nel 1289 da Niccolò IV alla
Regola dei Terziari dell'Ordine di S. Francesco. Queste comunità praticarono
spesso i « tre voti », anche se essi non erano « solennemente riconosciuti
».
Nei secoli XIV e XV una profonda crisi di civiltà investe l'Occidente
cristiano. L'ideale unitario della « cristianità » medievale perde mordente
in favore di un nuovo ordinamento, quello delle unità politiche a raggio
nazionale, territoriale (principati, ducati, repubbliche) o cittadino (città
libere dell'impero). Questi cambi non avvengono generalmente senza lotte.
Per colmo di sventura in questo « autunno del Medioevo », la peste nera si
aggiunge alle guerre e ad altre calamità e uccide,
da sola, un terzo della popolazione europea. Turbata e colpita da queste sventure,
nonché dallo scisma (1378-1417) e dall'affermarsi delle idee conciliari, la Chiesa, non meno della società
civile, attraversa un nuovo tormentoso periodo di travaglio e di decadimento.
Anche gli Ordini religiosi (ad eccezione dei Certosini e in parte dei Cistercensi) subiscono un deplorevole
declino nel campo della disciplina religiosa, della ricerca scientifica e
dello zelo apostolico.
Tuttavia già verso
la fine del XIV secolo e lungo il XV secolo cominciano a formarsi in diversi
Ordini religiosi « attive cellule di autoriforma », dette « Osservanze
», le quali richiamano l'attenzione sul dissidio esistente fra l'ideale evangelico professato e il languore od anche l'infedeltà della vita vissuta.
Questo limitato slancio di rinnovamento fa sorgere nell'Ordine benedettino
le congregazioni per la riforma di S. Giustina a Padova, di Valladolid, di
Chézal-Benoit, di Melk e di Bursfeld; presso gli Eremitani agostiniani, quelle
di Lecceto, di S. Giovanni a Carbonara, di Perugia, di Genova, di Zamponi,
la lombarda e la sassone in Germania; tra i Serviti,
quella di monte Senario.
Anche gli Ordini mendicanti
dei Domenicani, dei Francescani e dei Carmelitani sono scossi da impulsi rinnovatori.
La riforma del Savonarola, che non ha successo duraturo in Italia, si afferma
tra i Domenícani della Spagna. All'interno del francescanesimo, il movimento
dell'Osservanza, iniziato nel 1378 da Paolo Trinci da Foligno e guidato nel XV secolo da S.
Bernardino da Siena, da S. Giovanni da Capestrano e da Giacomo della Marca,
raggiunge un tale sviluppo che Leone X con la bolla Ite vos in vineam (29 maggio 1517) lo separa dai Conventuali e lo eleva a dignità di ramo autonomo
del vecchio tronco francescano.
Gli autori di questi
moti di riforma non elaborano grandi progetti. Essi insistono sulla necessità
di un maggior impegno nella santificazione personale attraverso il ripristino
di una ordinata vita di comunità secondo lo spirito delle regole, le quali
esprimono ciascuna, a suo modo, una particolare maniera di imitare l'esempio
di Cristo e di sintonizzarsi con la volontà del Padre celeste.
Tra le nuove fondazioni
di famiglie religiose va ricordata l'associazíone dei Fratelli della vita
comune, affiancata dal ramo femminile delle
Sorelle della vita
comune, sorti ad opera del diacono Gerardo Groote
(+ 1384), coadiuvato dal canonico di S. Pietro
a Utrecht, Fiorenzo Radewijns. I Soci, mentre si propongono di attendere al
loro perfezionamento spirituale, si dedicano pure all'apostolato dell'esempio,
della scuola e della predicazione, e alla trascrizione e miniatura di libri.
Alcuni discepoli del Groote fondano a Windesheim una Congregazione di canonici
regolari, la quale verso la fine del Quattrocento contava 84 conventi maschili e 13 femminili.
I Fratelli della vita
comune e i canonici di Windesheim diffondono nei Paesi Bassi, nella Germania
meridionale e altrove un nuovo slancio di vita cristiana, noto col nome di
Devotio moderna. Il termine indica un
moto di rinnovamento spirituale, proteso a favorire un più conscio impegno personale nella vita cristiana per mezzo
della scelta di Gesù Cristo a modello.
Movimenti simili a quello « devoto »
si sviluppano pure nell'Europa meridionale. Due gruppi inizialmente laici,
si trasformano poi in veri Ordini religiosi: i Gerolamiti, originatisi
da quattro Congregazioni di eremiti, sorte in Spagna e in Italia nei secoli
XIV e XV, e orientatesi alla recita dell'ufficio corale; allo studio. e all'apostolato; e i Gesuiti, fondati a Siena verso il 360 dal beato Giovanni Colombini
e dediti all'esercizio della penitenza e dell'assistenza agli infermi.
Verso il 1460 S. Francesco
da Paola, che impressiona i contemporanei per la sua vita austera e penitente,
fonda l'ordine dei Minimi cui lascia una regola assai rigida di ispirazione francescana.
Contemporaneamente,
nel campo femminile si moltiplicano le società di « suore grigie » o di «
suore nere », nel nord della Francia e nel Belgio. Sono Congregazioni ospedaliere i cui membri si impegnano perfino
a curare gli ammalati a domicilio. Esse emettono, e pubblicamente, i tre voti di religione; ma non sono considerate
« religiose», perché i voti non sono solenni e manca la clausura papale. Questo
fatto, peraltro, le preserva dalle esigenze dei canonisti!
3. Dal XVI al XX secolo
All'inizio del XVI
secolo, da ogni parte, i mistici e i profeti invocano una riforma, finché,
non giungendo la riforma
ufficiale, Lutero pone mano alla sua propria. Ma anche in seno alla Chiesa, in vari ambienti,
molto prima della riforma ufficiale di Trento, alcune anime fervorose non
si sono limitate a sentire e a proclamare la necessità di una riforma, ma
si sono messe esse stesse all'opera. All'inizio del secolo, proprio mentre stava maturando la Riforma
protestante, sussulti di fervore scuotevano qua e là la Chiesa. È significativo
il fatto che pii cristiani si riunissero un po dappertutto per leggere la Scrittura, discutere di teologia
e di mistica e affrontare tutti i problemi della Chiesa. La più celebre di queste
associazioni fu l'Oratorio del divino Ancore, creatasi verso
il 1510-1520
in una piccola chiesa di Trastevere a Roma: essa fu alla base di parecchie fondazioni religiose propriamente
dette. Contemporaneamente, il movimento di riforma che scuoteva la maggior parte degli
Ordini antichi, si estende. Questa riforma segue un po' dovunque lo stesso
processo. I grandi Ordini sono corpi immensi che non hanno più sufficiente
linfa vitale per rinnovarsi. Allora Dio suscita uomini carismatici che riformano una comunità,
una casa, e attorno a questa
cellula iniziale raggruppano poi altre case, fino a creare a poco a poco una
Congregazione. Un esempio caratteristico all'inizio del XVI secolo lo
abbiamo nella riforma dei Camaldolesi ad opera del
beato Giustiniani.
Già prima del Concilio,
questo vento di riforma fu accompagnato dalla fondazione
di nuove comunità, ed in particolare
dalla creazione dei chierici
regolari. Sia gli Ordini mendicanti
che i canonici regolari, pur consacrandosi all'apostolato attivo, avevano
conservato un tenore di vita abbastanza
vicino a quello dei monaci. Il
clero secolare quindi, quello delle parrocchie, era sempre stato appena sfiorato
da questi movimenti di riforma della vita clericale. Le nuove comunità di chierici regolari raggruppavano in fraternità
i sacerdoti che si consacravano al ministero ordinario e che volevano vivere i consigli evangelici, pur rimanendo nel clero parrocchiale e condividendone
la vita. Nacquero così, gli uni dopo gli altri, i Teatini di S. Gaetano da Thiene e di Giovanni Pietro Carafa, i Barnabiti
di S. Antonio Maria Zaccaria,
i Somaschi
di Gerolamo Emiliani, ed altri
ancora. Parecchie di queste nuove Congregazioni ebbero una fondazione femminile
parallela alla loro. Queste comunità femminili realizzavano già ciò che S.
Francesco di Sales non sarebbe riuscito ad attuare con le sue Visitandine: vivere non un'esistenza chiusa in un chiostro, come era sempre avvenuto perle religiose, ma impegnarsi ad affiancare il clero in opere di carità,
d'insegnamento e di apostolato.
Dobbiamo ammettere però che acquistarono
una certa importanza solo quelle
comunità che accettarono ben presto `il genere di vita degli Ordini antichi,
a cominciare dalla clausura papale, come avvenne in Francia
per le Orsoline.
La più importante fondazione di questo periodo fu ovviamen-te quella della
Compagnia di Gesù. Con la sua
milizia messa al servizio del Papa
per lavorare in tutta la Chiesa, con
i suoi religiosi che in nulla si distinguevano dai
sacerdoti secolari, con la grande
libertà d'azione lasciata ai singoli membri in seno ad un Ordine fortemente
strutturato, per la prima volta la vita religiosa si liberava totalmente dalle
strutture monastiche in cui si muoveva
da quando la riforma carolingia aveva ristretto la pratica riconosciuta dei
consigli evangelici alla sola forma monastica. Come tutte le grandi fondazioni
di questo genere, la fondazione di Ignazio di Loyola era frutto di una lunga
evoluzione. Era preparata da tutto il movimento di riforma che animava la
Chiesa già da qualche decennio.
Nella XXV sessione,
il Concilio di Trento trattò unicamente di coloro che erano considerati religiosi
di diritto: De Regularibus et Monialibus, cioè dei religiosi e delle religiose a voti solenni. Elaborò
tutto un arsenale di regolamenti, di prescrizioni e di sanzioni per riformare
la vita religiosa. Benché lo stesso grande Papa riformatore Pio V si sia consacrato
a questa missione, non pare che questa riforma di carattere giuridico ed istituzionale,
simile a quella di Aix-la-Chapelle, abbia avuto, in sé, grandi risultati.
Se, effettivamente, la riforma della vita religiosa venne attuata, ciò è legato al fatto che, già prima del Concilio,
gli Ordini religiosi erano stati permeati da un soffio di rinnovamento e
questo soffio andava intensificandosi.
La riforma più clamorosa fu certamente quella del Carmelo, realizzata dall'infaticabile
ed attiva mistica Teresa d'Avila e dal suo fedele amico e collaboratore Giovanni
della Croce.
In questo stesso periodo,
assistiamo ancora ad alcune nuove fondazioni. Notiamo, tra le altre, quella
dell'Oratorio di Filippo Neri, così simpatico, così allegro e così sconcertante.
Questo Oratorio è la prima realizzazione
di ciò che oggi chiameremmo una Società di vita comune senza voti. Ecclesiastici
e laici pii, soggetti alla medesima semplicissima regola, vivono in unione
di preghiera e di
azione, senza nessuna disciplina esteriore imposta, senza un rigido regolamento,
senza altro vincolo oltre quello che nasce dal vicendevole affetto e dal contatto
quotidiano.
La riforma di Pio
V ebbe come effetto di centralizzare ancor più la vita religiosa che d'ora
in poi dipenderà sempre più dall'autorità ecclesiastica ed in particolare dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari,
la cui azione avrebbe ottenuto un livellamento sempre maggiore delle Congregazioni
e degli Ordini religiosi. Questa riforma rese di nuovo molto precaria la
vita delle comunità di Terziarie o di religiose « secolari » che si erano
andate creando nei secoli precedenti, affiancando la vita religiosa propriamente
detta. A causa di certi abusi, il Papa prese una misura radicale e, con la
costituzione Circa Pastoralís del 1566, ordinò innanzi tutto che la clausura
fosse strettamente osservata in tutti i monasteri, poi fece invitare le Terziarie
od altre comunità analoghe, che non avevano i voti solenni, a pronunciarli
e quindi ad adottare la clausura papale. In casi particolari, i vescovi erano
autorizzati a permettere che queste comunità continuassero nel loro tenore
di vita, ma con la proibizione di accettare novizie... Fortunatamente questa
disposizione non fu applicata alla lettera, ed alcune comunità perseverarono
sempre, benché in numero ridotto. Ma le resistenze furono lunghe e numerose.
Nel 1572, Gregorio XIII confermava le disposizioni adottate
da Pio V riguardo alle religiose, e nel 1592 la Congregazione dei Vescovi
e Regolari permetteva ai vescovi di proibire perfino la vita comune
alle Terziarie che non volessero accettare la clausura papale.
La fondazione della
Compagnia di Gesù aveva introdotto una novità importante in questo ordine
di cose.[11] Non soltanto gli scolastici e i fratelli coadiutori, per
un periodo abbastanza lungo di prova, dovevano limitarsi a fare i voti semplici,
ma la Compagnia era composta da due categorie di professi, gli uni legati
dalla professione solenne dei quattro voti, gli altri da una professione di
voti semplici. Nel 1584, una solenne dichiarazione di Gregorio XIII fece cadere l'obiezione secondo
la quale tutti i professi a voti semplici non erano « veri » religiosi; ma
per quasi tre secoli i canonisti continuarono a vedere in questo uno specialissimo
privilegio.
Quando, all'inizio
del XVII secolo, S. Francesco di Sales ebbe l'idea di una comunità di religiose
che non vivessero dietro le mura di un chiostro, ma che si dedicassero all'esercizio
della carità nel mondo, l'opposizione all'apostolato delle religiose fuori
della clausura e senza voti solenni era ancora così viva che le sue Visitandine dovettero accettare la vita di suore di clausura. Ciò che non
era riuscito ad ottenere S. Francesco di Sales, l'ottennero S. Vincenzo de
Paoli e Luisa de Marillac con la fondazione delle Figlie della Carità. Essi trovarono la soluzione giusta: ignorando
le distinzioni dei canonisti e rassegnandosi ad essere private del nome di
« religiose », le Figlie della carità si limitarono ad emettere voti privati
e così, sotto forma di una Società di pie, donne senza voti pubblici, poterono
godere della libertà dei figli di Dio e integrare il servizio dei poveri ad
un'autentica pratica dei consigli evangelici. L'avvio era stato dato, e sia
in Francia che in Germania parecchie
Congregazioni analoghe assicurarono, soprattutto nell'insegnamento e nella
cura dei malati, l'esercizio della carità cristiana, a maggior gloria della
Chiesa... e dello stato religioso da cui
erano ufficialmente rigettate.
Per tutto il XVII secolo, le comunità
sia maschili che femminilí si moltiplicarono
a tal punto che sarebbe temerario cercare di enumerarle. In generale, non
si tratta di religiosi o di religiose in senso stretto, ma sono approvati
dai vescovi e spesso perfino la Santa
Sede ratifica i loro Statuti, pur
non approvando gli Istituti in quanto
tali... Si sarebbe contravvenuta la decisione di Pio V !
Con la Rivoluzione francese, l'Europa
corse il rischio di cadere in una nuova notte, , almeno in Francia, si
ebbe la scomparsa quasi totale della vita religiosa organizzata. In questa
situazione particolarissima nacque una fondazione originale, che ! è,, nel
passato, l'esempio più bello di ciò che oggi sono gli Istituti secolari.[12] Il Padre
de Clorivière, per le circostanze che rendevano impossibile in Francia la
vita religiosa ordinaria, pensò di fondare comunità i cui membri non portassero
alcun segno distintivo, nessun abito, vivessero in seno alle loro famiglie,
assolvessero la loro normale funzione nella società, ma che in questo modo,
senza essere conosciuti, da nessuno, continuassero l'opera dei religiosi
e delle religiose espulse.
Dopo la
Rivoluzione, i vescovi e i Papi dovettero aprire gli occhi all'evidenza e riconoscere l'utilità
e la necessità delle comunità senza clausura
che, con vero zelo, si dedicavano alle opere di misericordia, all'insegnamento
e alla evangelizzazíone, specialmente in
terra di missione. Il movimento
di rinascita religiosa, che seguì la Rivoluzione; favorì il loro moltiplicarsi.
Mentre il diritto riconosceva come religiosi unicamente gli Ordini a
voti solenni e con clausura, i vescovi e la Santa Sede, per tutto il XIX secolo, approvano
a dozzine le Congregazioni religiose a voti semplici; continuando però ad
affermare che non sono « Congregazioni religiose propriamente dette », Ricordiamo,
a modo di esemplificazione, la Congregazione di Santa Croce, fondata nel 1837
ed approvata definitivamente dalla Sede Apostolica
il 18 giugno 1855; i Missionari del Cuore Immacolato di Maria (Claretiani
), istituiti il 16 luglio 1849 ed approvati l'11 febbraio 1870; e la
Società di S. Francesco di Sales (Salesiani), fondata da S. Giovanni Bosco
il 18 dicembre 1859 ed approvata il 1° marzo 1869. Finalmente,
la costituzione Conditae a Christo di Leone XIII del 1900 e le Normae della Congregazione dei vescovi e regolari del 1901 adattarono
il diritto alla vita, riconoscendo come religiose le Congregazioni a voti
semplici.
D'altra parte; queste Normae sistematizzavano
al massimo il concetto di vita religiosa; entravano nei particolari dell'organizzazione
delle Congregazioni e degli Ordini, e presentavano un modello preciso di Costituzioni.
Nelle revisioni delle Costituzioni eseguite allora, parecchi Ordini e Congregazioni
perdettero quasi totalmente l'originalità del loro carisma proprio.
Contemporaneamente,
il laicato acquistava una coscienza sempre più profonda di sé e della sua vocazione in seno
al Popolo di Dío. Il cattolicesimo sociale si sviluppò unitamenteall'Azione
cattolica. Questo inserimento dello spirito evangelico in tutte le classi
della società prepara il riconoscimento ufficiale di una forma di vita evangelica
che esisteva da molto tempo e che si andava lentamente organizzando: gli Istituti
secolari. Nella Chiesa vi sono sempre stati fedeli desiderosi di vivere integralmente
le esigenze più radicali della vita evangelica, ma che, per un concorso di
circostanze particolari o per una vocazione personale del Signore, dovevano
rimanere nel mondo e continuare ad assolvere la loro funzione nella società.
È comprensibile che essi abbiano sempre cercato di riunirsi in pie associazioni
o società. A partire dal XIX secolo, parecchie di esse cercarono di ottenere da Roma un'approvazione che
riconoscesse il loro valore morale e religioso e che fosse una garanzia per
quelli e per quelle che desideravano aderirvi. Sventuratamente, il loro tenore
di vita non quadrava con le nozioni canoniche della vita religiosa né con
la nuova nozione che la vita si sforzava d'imporre tra mille difficoltà ai
canonisti della curia: quella di « Congregazione a voti semplici ». Un decreto
del 1889, della Congregazione dei Vescovi e Regolari, si limita a lodare il
fine di simili associazioni e a dichiarare che al massimo si potrà conferire
loro il titolo di « pie associazioni ». Solo nel
1947, Pio XII, con la costituzione Provida Mater Ecclesia, riconoscerà ufficialmente gli Istituti secolari come
stato di perfezione e darà loro uno statuto giuridico.
I teologi hanno molto
discusso per sapere se i membri di questi Istituti secolari fossero « religiosi
» o « laici ». Fu somma cura degli stessi membri conservare il loro carattere
laico e riuscirono di stretta misura a fare inserire nel n. 11 del decreto
Perfectae Caritatis un inciso in cui si
afferma esplicitamente che essi non sono Istituti religiosi benché permettano
un'autentica e completa professione dei consigli evangelici nel mondo, professione
riconosciuta dalla Chiesa.[13]
4. Insegnamento
della storia e compito attuale
Gettando uno sguardo
d'insieme sull'evoluzione della vita religiosa, si possono distinguere con
facilità due grandi periodi, uno che va dalle origini fino al X secolo e l'altro
che va dalla riforma gregoriana fino ai nostri giorni.
Il primo periodo,
dopo qualche tempo di rapida e vasta espansione, è caratterizzato dalla riduzione
del ventaglio delle forme di vita religiosa. Nei primi secoli, cristiani di
tutte le classi sociali si applicano a vivere radicalmente la loro vita cristiana
in conformità ai consigli evangelici. Essi continuano a rimanere nella società
oppure si ritirano nella solitudine; si riuniscono in fraternità oppure vivono
da eremiti; sono ecclesiastici oppure laici. La vita religiosa non è assente
da nessuna forma di vita sociale, anzi, assume essa stessa tutte le forme.
A poco a poco, il monachesimo si sviluppa straordinariamente e questo sviluppo
suscita uno sforzo legislativo, che gradatamente fa della vita religiosa uno
« stato di vita » ufficialmente riconosciuto, e finisce col ricusare questo
riconoscimento alle forme non monastiche della vita religiosa. Infine, con
la riforma carolingia, il monachesimo stesso, almeno in Occidente, è ridotto
ad un comune denominatore.
Questo movimento di
« riduzione » non è dovuto al semplice fatto dello sviluppo straordinario
del monachesimo. È legato innanzitutto ad un raffreddamento del carisma,
il quale non è certamente estraneo ad uno sviluppo numerico troppo vasto
e troppo rapido. Neppure la legislazione, in sé, è stata causa di questo raffreddamento
e di questa riduzione del ventaglio delle forme di vita religiosa. I grandi
movimenti monastici, come quelli di Pacomio e di Basilio, infatti, avevano
saputo strutturarsi saggiamente. per favorire l'espansione e la sopravvivenza
del loro carisma. La sclerosi sopraggiunge quando, per mancanza di vitalità
spirituale e per la degradazione dell'istituzione, si deve imporre dall'esterno
una legislazione per salvaguardare ciò che S. Benedetto definisce una certa
« honestas morum » (RB
c. 73).
A partire dall'XI
secolo, affiora un movimento in senso inverso che dura fino ai nostri giorni.
Per esigenze interne, e nel quadro della grande riforma gregoriana, il monachesimo
riprende a differenziarsi. Poi, al suo fianco, riappaiono nuove forme di vita
religiosa, e si assiste quindi ad una specie di graduale « riconquista »
del diritto all'esistenza nell'ambito della Chiesa istituzionale per ogni
forma di vita consacrata, riconquista che si è protratta fino ad oggi. I canonici
regolari hanno per primi unito la pratica dei consigli evangelici al servizio
di una Chiesa locale; gli Ordini mendicanti la uniranno poi all'apostolato
nella Chiesa universale; infine, innumerevoli forme di vita religiosa non
di clausura si inseriranno di fatto nella cerchia della Chiesa e finiranno
con l'essere da essa riconosciute di diritto, in capo a parecchi secoli. Finalmente,
con gli Istituti secolari, abbiamo il riconoscimento ufficiale di uno stato
di perfezione evangelica nel mondo, fuori dei quadri della
vita religiosa canonica.
Questo periodo ha avuto inizio con le
riforme monastiche dell'XI secolo;
esse, a loro volta, sono nate dalla grande riforma gregoriana: Orbene, noi
conosciamo la spiccata tendenza di que
sta riforma verso la centralizzazione e l'istituzionalizzazione.
Nell'ambito di uno Stato civile accaparratore, la Chiesa poteva conservare
la propria libertà - o riacquistarla - solo istituzionalizzando
fortemente se stessa. Anche la vita religiosa dovette adattarsi ai rigidi
quadri dello stato religioso, rinunciando così, come prima conseguenza, alla
sua spontaneità carismatica. Questa nozione di stato religioso e questi quadri
si sono mantenuti fino ai nostri giorni; invece, la riconquista
del pluralismo delle ` forme obbligò a creare periodicamente nuove « dimore
» in questo edificio, e nuove specie all'interno del genere,
per dissezione del concetto. Dopo aver distinto lo stato di vita contemplativa
dallo stato di vita attiva (e lo stato di vita mista, per coloro che non entravano
in alcuna di queste categorie), si distinsero gli Ordini dalle Congregazioni,
e queste furono ancora distinte in base alla diversità dei
loro fini « secondari ». Ogniqualvolta una nuova forma di vita religiosa veniva
imposta dalla vita, si richiedeva ai canonísti un'autentica ginnastica per
trovarle un posto all'interno di queste strutture. E siccome la duttilità
non sembra essere la peculiarità propria degli uomini di legge, questa ginnastica
è sempre stata laboriosa e lenta.
I teologi furono facilmente portati a
considerare questi quadri come costitutivi dello stato religioso. E poiché
la tendenza medievale esigeva che ogni dato storico fosse considerato acquisito
una volta per sempre, ogni evoluzione della vita religiosa era destinata ad
aggiungere forme nuove alle antiche. Infatti, chi avrebbe osato rimettere
in causa forme già ufficialmente approvate dalla più alta autorità ecclesiastica?
Inoltre, tolto il caso della repressione di abusi evidenti, ogni riforma poteva
sfociare in una scissione dell'Ordine in due o parecchie osservanze: antica
o nuova osservanza, calzati o scalzi, con o senza barba, ecc.
È nella vita religiosa che la Chiesa ha
vissuto in maniera più acuta la tensione - naturale nel suo ambito - tra il
carisma e l'istituzione. Il carisma della
vita religiosa, come ogni carisma, doveva istituzionalizzarsi per sopravvivere.
Poiché la perfetta armonia tra il carisma e l'istituzione è impossibile su
questa terra, si assiste nella storia ad
una specie di va e vieni, di avvicendamento tra l'asfissia del carisma ad
opera delle istituzioni diventate troppo pesanti, e l'esplosíone delle istituzioni
sotto la spinta vitale del carisma, per arrivare a nuove istituzioni - il
tutto intersecato da periodi di relativo equilibrio.
Il carattere carismatico della vita religiosa traspare molto chiaramente
da questa evoluzione. Mai l'autorità gerarchica ha creato una nuova forma di vita religiosa, e sempre la riforma
decretata per via di autorità si è limitata ad impedire il peggio. Ogni volta
che nella Chiesa la vita religiosa nasce o viene riformata, sempre troviamo
alla base di questa nascita o di questo rinnovamento una persona carismatica
o più persone carismatiche mosse irresistibilmente dallo Spirito. Le vere
riforme, quelle che portano frutti ed aprono nuove vie, sono le riforme spirituali. Il cuore della
riforma è la riforma del cuore.
Il compito che si
presenta oggi ai religiosi è immenso. Gli Ordini e le Congregazioni che, essendosi
affrettatí a rivedere il testo delle Costituzioni o dei costumíeri, credono
di aver compiuto il loro sforzo di rinnovamento, rischiano seriamente di aver
fatto un buco nell'acqua. È necessario; innanzi tutto, suscitare un rinnovamento
spirituale il quale genererà, a poco a poco, le strutture indispensabili alla vita. Cominciare
con la riforma delle strutture, senza preoccuparsi sufficientemente della
riforma spirituale, significa mettere l'aratro davanti ai buoi.
Come al tempo di
Gregorio VII, noi ci troviamo ad una svolta importante nella storia della civiltà. Sono mutate
le basi su cui la società si fondava, e la Chiesa, a partire dal Concilio
Vaticano II, ha incominciato ad interrogarsi sulla sua identità, per crearsi
nuove basi in questo mondo in evoluzione. Un'identica ricerca della loro
identità s'impone agli Ordini religiosi. Non si tratta di continuare a moltiplicare
le forme di vita religiosa e le « osservanze » in seno ad uno stesso Ordine.
In fin dei conti l'immaginazione umana è limitata, e le nuove fondazioni sarebbero
destinate a copiare dalle comunità esistenti. Piuttosto, occorrerebbe fare
il punto sulla grande evoluzione da noi descritta, ritornando ad una maggiore
unità nell'ambito di un pluralismo coscientemente riscoperto. Si giungerà
necessariamente a domandarsi se vi sia posto per parecchi Ordini giuridicamente
distinti in seno alla grande famiglia monastica; se sia opportuno conservare tanti Istituti
di suore addette agli ospedali o insegnanti, Istituti che hanno la stessa
forma di vita e Costituzioni praticamente intercambiabili, e che devono assicurare
tutti il mantenimento di un'importante curia generalizia, ecc.
Oggi, dai canonisti,
non ci attendiamo più un adattamento tardivo della situazione giuridica allo
stato di fatto imposto dalla vita, ma l'elaborazione di quadri non troppo
rigidi da permettere alla vita di svilupparsi in essi liberamente sotto la
direzione dello Spirito. In definitiva, lo stato religioso è solo un concetto,
anche se significativo. Ciò che esiste, concretamente, sono i religiosi, uomini
e donne che sono stati personalmente chiamati dal Cristo e che devono dare
a questa vocazione una risposta personale. Lo Spirito non parla alle istituzioni,
ma agli uomini. La preoccupazione maggiore non deve essere quella di conservare
o di adattare uno stato, ma di promuovere una vita.
Sotto il pontificato
di Paolo III, la « Commissione di Riforma », incaricata di preparare il Concilio
di Trento, propose la soppressione pura e semplice di tutti gli Ordini esistenti!
Misura radicale che non fu adottata dal Concilio - ed a ragione - perché
ogni evoluzione reale deve realizzare la sintesi di una continuazione e di
una rottura. Però è vero che qualche cosa deve sempre morire, perché la vita
risorga. Se il chicco di grano non muore... Il dramma e le sofferenze di molti
Ordini religiosi ai nostri giorni, ci permettono d'intravedere i segni di
una vita nuova.
[1] Cfr.
P. JORDAN, Pythagoras
and Monachism, in Traditio
(1960) 432
441.
[2] Cfr.
J., NEUSNER, The
fellowship
(« chabourah ») in the second Jewish
Commonwealth, in The Harvard theol. review (1960) 125-142.
[3] Cfr.
J. CARMIGNAC et P. GUILBERT, Les
textes de Qumrân traduits et annotés,
T., 1, La Règle de la Communauté, la Règle de la guerre, les
hymnes, Paris 1961.
[4] Cfr.
K.VL. TRUHLAR, Laïcs
et conseils, in Laïcs et vie chrétienne parfaite, T. I, Roma
1963, 163-195; e soprattutto S. LEGASSE, L'appel du riche, contribution à l'étude
des fondements scripturaires de l'état religieux, Paris 1966.
[5] Schürmann, Le groupe des
disciples de Jésus, signe pour Israël et prototype de la vie selon les conseils,
in Christus 13(1966) 184-209.
[6] J. GRIBOMONT, Le monachisme au sein de l'Eglise en Syrie et en Cappadoce, in Studia
Monastica 7 (1965) 7-24.
[7] Cfr. A. VEILLEUX, The Interpretation of a Monastic Rule,
in The Cistercian Spirit: A Symposíum in Memory of Thomas Merton (Cistercian Studies Series, 3), Spencer 1969.
[8] Cfr. R. MORGHEN, Riforma monastica e spiritualità cluniacense,
in Spiritualità
cluniacense, Convegni del centro di studi sulla spiritualità medievale,
II, Todi 1960, 31-56.
[9] Cfr. C. VIOLANTE, Il monachesimo cluniacense di fronte al mondo politico
ed ecclesiastico (X e XI secolo), in Ibid. 153-242.
[10] L. J. LEKAI, Motives and
Ideals of the Eleventh Century
Monastic Renewal, in The Cistercian Spirit: A Symposium in Memory of Thomas
Merton (Cistercian Studies Series, 3), Spencer 1969.
[11] Cfr. il recente studio di E. OLIVARES, Les voeux des premiers étudiants jésuites,
in Vie cons. 41 (1969) 233-238.
[12] Cfr. M. PARODI, Le charisme du Père de Clorivière, in Vie
cons. 41 (1969) 95-112.
[13] Cfr.
J. BEYER,
Gli
Istituti secolari, in Il rinnovamento della vita religiosa a cura di G. M. R. TILLARD e Y. M. G. CONGAR (trad. it.), Vallecchi, Firenze 1968, 325-333.