EVOLUZIONE DELLA VITA RELIGIOSA

NEL SUO CONTESTO

STORICO-SPIRITUALE

 

A. Veilleux, o.c.s.o.

 

Radicata nel mondo, per il quale deve essere un segno della grazia salvifica del Cristo, la Chiesa, pur vivendo del suo proprio dinamismo, ha una storia intimamente legata a quella dell'umanità in generale. La sua evoluzione è sempre condizionata dai fattori di ordine sociologico, spirituale e culturale che influiscono sulla marcia dell'umanità. Sotto questo aspetto, la vita religiosa è solo una delle svariate espressioni della Chiesa nel suo divenire storico. La sua storia dunque non può essere dissociata da quella della Chiesa in generale; è questa che le dà il significato suo peculiare.

Questa storia è soggetta alle grandi leggi della vita dei gruppi; i periodi di prosperità si alternano a quelli di decadenza. Non ba­sta costatare il succedersi di questi periodi, bisogna afferrare il senso del loro movimento. La storia è una sinfonia che rivela il suo segreto solo a coloro che ne scoprono il ritmo interno.

Nelle pagine che seguono, non vogliamo tracciare, neppure schematicamente, la storia della vita religiosa. Supponendola già conosciuta, ci limiteremo a ricordarne le grandi linee e ci sforze­remo soprattutto di afferrarne il ritmo vitale.

Speriamo di potervi scoprire delle luci, che ci permettano di comprendere meglio la situazione attuale della vita religiosa e ci aiutino a vedere più chiaramente come debba inserirsi nella Chiesa e nel mondo attuale.

 

I. LE PRINCIPALI LINEE DI SVILUPPO

1. Origine e prime ramificazioni della vita religiosa (I - VII s.)

Fonte della vita religiosa cristiana è unicamente il Vangelo. Tuttavia, essa risponde a tendenze profonde dell'anima umana. Assistiamo perciò al fiorire di forme analoghe di vita nelle civiltà antiche, ogniqualvolta esse raggiungono un livello sufficientemente alto di spiritualizzazione.

Nel mondo greco, per esempio, nel VI secolo prima   dell'era nostra, quando si registrò il passaggio dalla spiegazione mitica del mondo alla spiegazione filosofica e teologica, Pitagora di Samo iniziava a Crotone un gruppo di discepoli alla ricerca di Dio e alla contemplazione dei suoi misteri, in una fraterna vita di ascesi e di contemplazione che annuncia quella degli asceti cristiani.[1]  E nel popolo ebreo, le fraternità o habûroth farisaiche spuntarono quan­do, sotto l'influsso della predicazione spiritualizzante dei profeti e sotto lo stimolo della dominazione straniera e della deportazione, l'anima ebraica, in atteggiamento religioso, si volse verso il Messia atteso.[2] Evidentemente, la forma più vicina; a quella delle prime comunità cristiane, la troviamo nelle comunità essenite, dove tutta la vita spirituale si fondava sulla fedeltà al Dio dell'Alleanza.[3] Queste somiglianze si spiegano non tanto con ipotetici influssi di­retti, quanto per il fatto che l'ascetismo cristiano e l'essenismo sono nati entrambi da un medesimo fondo spirituale giudeo-cri­stiano.

Ogni vocazione cristiana è un appello personale del Cristo. Fin dall'inizio della vita pubblica, il Signore chiama a seguirlo alcuni discepoli, ai quali presenta esigenze molto radicali di vita perfetta: Però, sarebbe illusoria la pretesa di trovare in questo o quel passo del Nuovo Testamento una specie di istituzione della vita religiosa ad opera del Cristo. La vita religiosa non, si, fonda su un testo de­terminato del Vangelo, ma si sprigiona dalla totalità del messaggio evangelico.

Noi siamo abituati a una teologia della vita religiosa fondata su una rigida distinzione tra precetti e consigli. Benché la nozione di « consigli » evangelici sia ancora attuale ed abbia solide; basi nella Tradizione, l'esegesi biblica di questi ultimi anni ci orienta verso una sua nuova valutazione. È chiaro, infatti, che questa no­zione non sgorga direttamente e immediatamente dal Vangelo, es­sa è frutto piuttosto di uno sforzo di comprensione della vita cristiana perfetta.[4]

Innanzi tutto, come ricorda il Concilio Vaticano II (LG nn. 40a e 420, il Cristo ha chiamato tutti i cristiani indistintamente alla perfezione della carità, senza stabilire gradi in questo ideale. Inoltre, il Vangelo non ci presenta alcuna teoria della vita cri­stiana, ma casi da cui traspaiono chiaramente le esigenze radi­cali della sequela Christi.

La chiamata dì Cristo è sempre un appello che impegna l'uo­mo nella sua `totalità ed esige un'obbedienza radicale. Ogni volta che, in un modo o nell'altro, l'unità profonda del cristiano rischia di rompersi, il suo cuore di essere diviso, si esigono da lui (non soltanto si consigliano) gesti radicali: strappa il tuo occhio, taglia la tua mano; vendi i tuoi beni. A poco a poco, non attraverso una riflessione astratta ma attraverso la propria esperienza spirituale; la Chiesa ha attinto dall'insieme della dottrina evangelica ed ha messo in risalto le grandi linee di una vita cristiana in cui questi atteggiamenti radicali sono liberamente adottati come una situa-zione permanente. In questo senso, e in questo soltanto, possiamo parlare di « consigli » evangelici:

Dai suoi discepoli; Cristo  aveva voluto una vita così radicale.[5] Le sintesi del Libro degli Atti ci dicono che i primi cristiani, a Gerusalemme, subito dopo la Pentecoste, cercarono d'introdurre nella loro nuova situazione la vita di Koinonia che avevano con­dotto gli Apostoli con il loro Maestro, e che implicava una vita di comunione fraterna, la partecipazione alla stessa tavola del Signore e la messa in comune dei beni. Attualmente, noi sappiamo che queste descrizioni non rispecchiavano esattamente la realtà sto­rica, sicuramente più sfumata, ma esprimevano piuttosto un ideale. Tuttavia, è significativo il fatto che l'ideale di ogni comunità sia stato visto in questa maniera radicale di vivere il Vangelo. A ra­gione, dunque, ogniqualvolta la vita religiosa ha avuto inizio o è stata riformata, si è ispirata a questo esempio.

Fin dalla prima generazione cristiana, noi possiamo costatane la presenza di vergini e di asceti nelle varie Chiese locali. Atti 21, 8-9, per esempio, ci parlano delle quattro figlie di « Filippo l'evan­gelista », vergini e profetesse, che abitavano nella casa paterna. Sappiamo con quale straordinaria rapidità, approfittando della Pax romana e dei mezzi di comunicazione forniti dall'Impero, il cristianesimo si diffonda allora in tutto l'Impero romano, superan­done anzi i confini, verso la Siria orientale, verso il regno di Edessa o Osroene, e verso la Persia. Orbene, dappertutto noi troviamo questi parthénoi dei due sessi, che vivono in seno alla comunità ecclesiale e praticano non solo il celibato, ma una rigorosa ascesi. Essi danno prova di uguale assiduità sia nel celebrare il culto che nel visitare i poveri, gli ammalati e gli orfani. Attraverso i molte­plici scritti del II e del III secolo che ne parlano, sappiamo che appartengono a tutte le classi della società e a tutte le professioni. In quei secoli di generale corruzione dei costumi, essi sono la glo­ria delle Chiese, che li considerano un gruppo a parte, e godono di particolari riguardi nelle assemblee cristiane. Il loro proposito di vivere nella continenza è riconosciuto dalla Chiesa e, ancor prima che si faccia parola di promessa esplicita, questo proposito è generalmente considerato tale da non ammettere alcuna riforma.

Nei primi secoli, una certa tendenza ascetica e rigoristica carat­terizzò le Chiese giudeo-cristiane.[6] Simili tendenze affiorano in numerosi scritti come, per esempio, nel Liber Graduum e nei Vangeli apocrifi. Abbiamo l'impressione che, nel loro insieme, queste comunità ecclesiali vivessero una vita che noi oggi defini­remmo « monastica ». In ogni caso, in seno a queste comunità e da questo fondo giudeo-cristiano sono spuntati i primi gruppi di vergini e di asceti, i Figli e le Figlie del Patto, di cui ci parlano, un po' più tardi, S. Efrem a Nisibí e a Edessa ed Afraate in Persia. In questa linea, e in conseguenza di un'evoluzione omogenea di questi gruppi, alla fine del III secolo, è nato quel grande movi­mento così vario, così diverso, così sconcertante per la moltepli­cità delle sue manifestazioni, designato con un nome che fu sem­pre equivoco: il monachesimo.

Questo incremento del monachesimo era stato preparato dal rapido sviluppo della Chiesa durante tutto il III secolo. Mentre l'Impero romano, diventato una specie di dittatura militare, per­ deva la propria vitalità e dava sintomi di una profonda decadenza sia nel campo artistico, morale e letterario sia in politica, la Chiesa continuava a crescere e ad irrobustirsi attraverso le persecuzioni. Rapidamente si è propagata e si è impiantata nelle contrade più lontane dell'Impero: l'Egitto, la Spagna, l'Italia, la Gallia, i paesi bagnati dal Danubío. Quando l'editto di Milano venne a confer­mare questo trionfo, il monachesimo era già vivo dappertutto.

Il fenomeno monastico non è un prodotto esportato dall'Egit­to in tutti gli altri paesi: è nato in essi nello stesso periodo di tempo dalla vitalità propria di ogni Chiesa. È questo che ne spiega l'estrema varietà delle forme.

Quando, nel 271, Antonio si ritirò nella sua prima solitudine, in Egitto, esisteva già una comunità di vergini nel suo villaggio, ed egli vi condusse sua sorella. Atanasio ha scritto un De Virgi­nitate ad uso delle vergini di Alessandria, e parecchi documenti, in particolare le vite di S. Pacomio, confermano l'esistenza di comunità di monaci ecclesiastici ad Alessandria. Nel deserto pro­priamente detto, alcuni monaci avevano preceduto Antonio e legioni intere l'avrebbero seguito. Mentre, a Pispiro, egli formava i suoi discepoli, altri anacoreti si riunivano attorno ad Ammonio e ai due Macario, per formare i grandi centri semianacoretici di Nitria, di Scete e delle Cellule, a sud di Alessandria. All'altra estremità dell'Egitto, alla foce del Nilo, Pacomio gettava le basi della sua grande Congregazione cenobitica.

Poco dopo, in Cappadocia, Basilio organizzava una forma ana­loga di cenobitísmo, ma nel cuore stesso della grande Cesarea. Sotto la direzione di Eustachio di Sebaste, egli aveva già fatto parte di un gruppo di asceti rigoristi molto vicini, nell'ispirazione fondamentale, ai Figli del Patto della Siria e della Persia. Eletto vescovo ed usufruendo dell'esperienza acquisita in un viaggio attraverso i. grandi centri monastici del Basso Egitto, della Pale­stina, della Siria e della Mesopotamia, Basilio canalizzò le energie di questo movimento; organizzò i suoi asceti in fraternità che sarebbero diventate la forma di monachesimo più diffusa in Oriente. Queste fraternità, dedicate alla ricerca di Dio e alla preghiera contemplativa, vivevano nell'ambito della Chiesa locale, pur non abdicando alla :solitudine. Nella grande Basílíde una specie di Città della carità fondata da Basilio, i monaci e le monache si dedicavano alla cura dei malati, dei poveri e dei pelle­grini. Essi erano inoltre, in qualche modo, gli animatori della vita liturgica della comunità locale.

Anche se Basilío, a differenza di Pacomio, non istituì alcuna Congregazione, la sua forma di vita monastica si diffuse non solo nelle fondazioni da lui create nel Ponto; nella Cappadocia e nel­l'Armenia romana, ma nella Siria del Nord, nei paesi del Caucaso e nell'Asia Minore occidentale. Sotto l'influsso di Gregorio di Nissa, che fu il grande teologo del monachesimo basiliano, la dot­trina di Basilio si diffonderà in tutto il mondo monastico, anche in Occidente, attraverso lo Pseudo-Macario, Evagrio del Ponto, Cas­siano, Giovanni Climaco; lo Pseudo-Dionigi, Massimo il Confes­sore, ecc...

Il movimento monastico attraversa tutta la Palestina e la Si­ría orientale e occidentale. In Palestina, senza contare il monache­simo latino che si era stabilito a Gerusalemme e a Betlemme, Ilarione e Caritone avevano impiantato su solide basi il loro siste­ma di laure già fin dall'inizio del IV secolo. Alla fine di questo stesso secolo, Saba, discepolo del grande Eutimio, vi aveva fon­dato parecchie laure, cenobi, ospizi, ecc. Gli eremiti - che si permettevano ogni sorta di stranezze - vi abitavano numero­sissimi. Nell'Alta Siria, la pianura di Dana era coperta di mona­steri, e alla foce dell'Eufrate, attorno !a Edessa, Giuliano Saba e Giacomo di Edessa moltiplicavano le laure e i monasteri. In re­gioni più lontane, a Ninive e in Persia, i monaci erano !altrettanto numerosi. Anche l'Armenia, la Georgia, Costantinopoli avevano le proprie tradizioni monastiche.

In Occidente; dove ben presto si fa sentire l'influsso del­l'Oriente, il fenomeno monastico. presenta la medesima sponta­neità e la stessa :vitalità. In Gallia, già nella prima metà del IV secolo, la vita monastica si propaga in tutte le classi sociali, ma soprattutto nelle, campagne. Dopo una leggera flessione nel V se­colo, che coincide con le invasioni dei Vandali, degli Unni e dei Visigoti, essa, rifiorisce nel VI secolo. I santi merovingi, hanno spesso una carriera molto movimentata, essendo di volta in volta eremiti, cenobiti, predicatori, vescovi... Tra i grandi centri che emergono, è doveroso ricordare Marmoutiers, Léríns, Marsiglia. Una delle fondazioni più originali è indubbiamente quella di Marmoutíers, dove coesistono tutte le forme di monachesímo, dal monaco ecclesiastico impegnato nel servizio pastorale con il suo vescovo, al monaco laico occupato a copiare manoscritti.,

In Italia, S. Atanasio, durante il suo esilio, aveva destato nelle anime la tendenza ascetica propría a tutta la vita cristiana, e S. Gerolamo ravvivò questo ideale; Già verso il 340, Costantina, figlia di Costantino il Grande, aveva fondato a Roma una comu­nítà di vergini presso la basilica di S. Agnese, e al tempo di Ge­rolamo, le patrizie romane conducevano nei loro palazzi dell'Aven­tino una vita di preghiera, di ritiratezza e di penitenza tutta mo­nastica. A Vercelli, nel 363, il vescovo Eusebio organizza in co­munità monastica gli ecclesiastici della sua chiesa cattedrale. Altret­tanto fa Ambrogio a Milano. Un po' più tardi, nel VI secolo, in un'Italia estenuata dalla lotta contro Barbari e nel momento in cui, a Roma, il papato attraversa una crisi profonda, S. Benedetto getta le basi di una tradizione monastica destinata a dominare tutto l'Occidente monastico fino ai nostri giorni.

In Africa, Agostino fonda un, monastero laico presso la sua cat­tedrale, organizzai suoi ecclesiastici in comunità monastica, e riu­nisce le vergini in comunità. Parallelamente ai gruppi di asceti che già esistevano prima di Agostino, questo monachesimo-rimar­rà in vita finché l'invasione araba: distruggerà praticamente ogni vita cristiana.

Lo spettacolo è identico nel lontano paese dei Celti. Sono mol­to simpatici questi   monaci celti,  innamorati della solitudine ed eterni pellegrini di Dio, ora rifugiati su un'isola deserta, ora in giro per il mondo, a evangelizzare i pagani! Essi saranno raggiunti nelle loro lontane contrade del Nord da S, Agostino- e dai suoi monaci, di cui però non apprezzeranno le vedute allineate su quelle di Roma. Da questi paesi nordici partirà il focoso e instan­cabile Colombano, alla fine del VI secolo, per seminare il cristiane­simo e il monachesimo nella Gallia del nord e dell'est, come farà poco dopo Willibrordo nella Frigia e Bonífacio in Germania.

Questa rapida espansione del monachesimo in tutto il mondo cristiano è veramente un'epopea straordinaria. Solo un intervento dello Spirito può spiegare un movimento così generale, forte, spon­taneo, che scaturisce contemporaneamente dappertutto e si diffon­de come un lampo.

Dunque, nei primi sei o sette secoli della storia della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, la vita cristiana è vissuta in tutte le sue esigenze radicali, secondo i consigli evangelici, da persone di tutti gli ambienti e di tutte le condizioni, dell'uno e dell'altro sesso. Nell'ambito delle Chiese locali, vi sono vergini e asceti, che abbracciano la vita di celibato e di ascesi senza rinunciare alla loro normale condizione sociale. Altri si consacrano alle opere di misericordia. Alcuni si riuniscono in comunità, pur continuando a vivere in seno alla Chiesa locale. Altri invece si ritirano in di­sparte, per dar vita a fraternità di asceti o per vivere nella soli­tudine più assoluta. Certi vescovi esortano i loro ecclesiastici a vivere con loro questa vita di comunità e di ascesi. Sono così vari i modi di vivere i « consigli evangelici » che fin da questo mo­mento possiamo trovare nella Chiesa tutte le forme di vita reli­giosa oggi conosciute.

Però, a partire dal III secolo, questo movimento ascetico si è sviluppato soprattutto in una direzione determinata, quella che sarà poi chiamata la vita monastica propriamente detta. Benché la terminologia sia molto vaga, fin dall'inizio del IV secolo, la parola monaco, nonostante il suo senso etimologico, è già utilizzata per indicare tutte le forme di vita secondo i consigli evangelici. Il termine monaco, cioè, ha allora un significato vasto quanto il ter­mine « religioso » oggi. L'equivoco è indubbiamente increscioso, ma effettivamente esiste. Ed anche ai nostri giorni, benché la pa­rola abbia riacquistato un significato più preciso, più conforme, al suo contenuto etimologico, chi può vantarsi di possedere un cri­terio sicuro per definire quali forme di vita consacrata possano essere considerate « monastiche » e quali non possano essere con­siderate tali?

L'espansione straordinaria del movimento di vita strettamente monastico avrebbe avuto indirettamente ripercussioni molto im­portanti su tutta la storia della vita religiosa. Fino a quel mo­mento, infatti, gli asceti, indipendentemente dalla loro forma di vita, erano soggetti ai vescovi locali, come tutti gli altri cristiani, ed al medesimo titolo. I vescovi non intervenivano nella vita interna delle comunità, a meno che non fosse interessato il bene comune dei fedeli. Tuttavia, a mano a mano che il movimento monastico si sviluppava, doveva strutturarsi. Ed ecco moltipli­carsi gli interventi dell'autorítà gerarchica per precisare queste strutture, e, se necessario, per condannare gli abusi. La nascente legislazione « religiosa », quindi, in pratica si occupò solo dei monaci propriamente detti. La legislazione si sviluppa e continua a fare astrazione dalle altre forme di vita consacrata; queste, che non sono riconosciute, vengono gradatamente relegate ai margini, fino al giorno in cui, con la riforma carolingia, una sola forma di vita « religiosa » sarà riconosciuta nella Chiesa, alme­no in Occidente: la vita monastica condotta in un chiostro; nella solitudine. Anche le vergini, che per tradizione erano vissute nel­l'ambito delle Chiese locali, saranno sempre più caldamente invi­tate a chiudersi in un chiostro.

Ma non anticipiamo i fatti. Notiamo ancora che una tendenza analoga si manifestò in Oriente. Già il Concilio di Calcedonia aveva emanato leggi che mettevano esplicitamente i monaci sotto la giurisdizione dei vescovi locali (canone 3). Qualche tempo dopo, anche l'imperatore teocratico Gíustiniano, nelle sue Novelle (5, 123, 133), si occupò dei monaci: erano riconosciuti solo i cenobi in cui si conduceva una totale vita comune, alle dipendenze di un igumene, che godeva di un potere quasi assoluto. I solitari erano solo tollerati e il loro numero doveva essere ristretto. Il controllo dei monasteri e della loro osservanza era affidato a fun­zionari del patriarcato.

 

2. Dalla riforma carolingia al Concilio di Trento

Il grande movimento monastico più sopra descritto si è rea­lizzato quando l'Europa stava entrando in un'era di tenebre e di barbarie: è questo il suo aspetto più straordinario. A partire dal­l'inizio del V secolo, infatti, assistiamo a un ripiegamento preoc­cupante della civiltà, ripiegamento che si manifestò nella degrada­zione dei costumi e in un calo spaventoso della cultura. Nella Chiesa stessa, si assisteva ad una certa contaminazione della fede e dei costumi ad opera delle usanze pagane. I monaci fecero molto per salvaguardare la cultura e mantenere i valori morali, ma anch'essi finirono per essere intaccati. I monasteri erano gremiti di « neocon­vertití » che avevano appena ricevuto una leggera verniciatura di cristianesimo, il fervore e i costumi monastici, come i costumi clericali, si deteriorarono progressivamente.

Se la decadenza della vita degli ecclesiastici era stata più ra­pída, la loro riforma venne prima. Ricordiamo che alcuni vescovi - Agostino a Ippona e Eusebio a Vercelli, per esempio - ave­vano :cercato di far condurre al loro clero un'autentica vita « mo­nastica ». Ovviamente, non fu possibile imporla dappertutto, ma l'ideale di vita comune pura e semplice era più accessibile alla maggior parte degli ecclesiastici. Nell'VIII secolo, S. Crodegango (766) fu il promotore di questo rinnovamento di vita comune (vita canonica) tra il clero. Si trattava di semplice vita comune! in cui ciascuno conservava i . suoi beni privati, e non di una pratica integrale dei consigli evangelici. Crodegango redasse per i suoi « canonici » una Regola profondamente influenzata da quella di S., Benedetto ed a cui la riforma carolingia avrebbe dato un'impor­tanza abbastanza grande.

Come aveva fatto Giustiniano in Oriente, Carlomagno pose mano alla riforma di tutta l'organizzazione ecclesiastica del suo regno, iniziativa questa che s'inseriva perfettamente nelle sue ve­dute politiche. Egli ebbe una cura tutta particolare dei canonici e dei monaci. Presso le chiese, vivevano ecclesiastici che conduce­vano vita veramente monastica o semplice vita comune. Carloma­gno ordinò che si mettesse fine a questo equivoco e , si adottasse o la vita monastica tra le mura di un chiostro e secondo la Regola di S. Benedetto, oppure la vita comune dei canonici secondo la Regola di S. Crodegango.

Questa decisione avrebbe avuto gravi conseguenze per il fu­turo della vita religiosa. Innanzi tutto, l'unica forma Ai :vita reli­giosa ormai ammessa, cioè. l'unica maniera riconosciuta "di prati­care i consigli evangelici, -è la vita monastica propriamente detta. I canonici di quel tempo (da non confondere con i canonici rego­lari che appartengono a un'epoca posteriore) non sono veri « reli­giosi »; potremmo assimilarli piuttosto alle nostre comunità di vita comune senza voti. Inoltre, la stessa vita religiosa è livellata. Essa aveva conosciuto fino a quel momento una grande varietà di forme. Certo, alcune grandi Regole si erano imposte nella pra­tica, in particolare quelle di S. Benedetto e di S. Colombano; ma non vi era in questo nulla di rigido. Venivano applicate con libertà, e il monachesimo non cessava di evolversi e di adattarsi alle cir­costanze di luogo e di tempo. Con la riforma carolingia, s'inaugura un regime più severo ed affiora un nuovo concetto di « Regola ». Prima si era soliti considerare la Regola monastica come un docu­mento spirituale di cui si riteneva l'ispirazione profonda: Tutte le grandi Regole costituivano il patrimonio comune dei monasteri, di modo che una stessa comunità poteva considerare due o tre Regole come base della propria vita spirituale.

Era impensabile che si potesse applicare alla lettera l'organiz­zazione materiale prevista da una Regola scritta per un altro se­colo. D'ora inpoi, la Regola monastica, quella di S. Benedetto, non è più semplicemente considerata un documento, spirituale a cui la vita deve fondamentalmente ispirarsi, ma il codice giuridico che precisa fin nei particolari che cosa sia la vita monastica. È que­sta l'origine di un certo giuridismo insinuatosi nella tradizione religiosa occidentale e di cui essa non è più riuscita a liberarsi completamente.[7]

Forte dell'appoggio di Carlomagno e del suo successore, Lu­dovico il Pio, Benedetto d'Aniane si dedicò a promuovere questa riforma. Un Capitulare monasticum destinato a precisare l'inter­pretazione e l'applicazione della Regola di S. Benedetto fu redatto nel Sinodo di Aix-la-Chapelle dell'817. Venne perfino fondato una specie di monastero modello (Indem) . Quando la necessità lo richiedeva, i funzionari imperiali vigilavano sull'applicazione dei decreti riformatori nei monasteri. Finché fu in vita l'energico Benedetto d'Aniane, questa riforma ottenne un certo successo, crollò però dopo la sua morte. Si era sperimentato una volta per sempre che una riforma della vita religiosa fondata soprattutto sulla riforma delle istituzioni era destinata a fallire. La riforma della vita monastica ebbe la stessa sorte del « rinascimento caro­lingio » nel suo insieme. Infatti, questo primo tentativo di fon­dare la pace, la prosperità e la civiltà sulle rovine dell'Impero ro­mano falli, e l'Impero di Carlomagno si disgregò. Nuove orde di Barbari invasero l'Europa: i Vichinghi dal nord, i Saraceni dal sud, gli Ungari dall'est. Un altro periodo oscuro incominciava per l'Occidente.

In Oriente, il cenobitismo, un po' indebolito dalla crisi ícono­clastica, conobbe un grande sviluppo alla fine del'VIII secolo e all'inizio del IX, con la riforma attuata da Teodoro Studíta, nella linea dell'ideale monastico di Basilio e di Doroteo di Gaza.

Fortunatamente per l'Occidente, il soffio spirituale che era mancato alla riforma carolingia suscitò, circa un secolo dopo il Sinodo di Aix-la-Chapelle, una grande riforma monastica, quella di Cluny.[8] All'interno dei quadri giuridici creati da Benedetto d'Aniane, questa riforma avrebbe segnato un ritorno alle esigenze monastiche fondamentali: silenzio, lavoro, stabilità, preghiera. I monasteri cluniacensi furono e rimasero per molto tempo centri di intensa vita di preghiera e di unione con Dio, in un mondo che si abbandonava più che mai alla violenza, alla dissolutezza, all'in­giustizia. La centralizzazione ad oltranza di Cluny aveva lo scopo di liberare i singoli monasteri dalla dipendenza che li legava ai signori feudali, in un mondo in cui il sistema feudale, di cui la politica carolingía aveva gettato le basi, diventava sempre più forte. Paradossalmente, la « Congregazione » di Cluny diventò così un ingranaggio importante di questo mondo feudale e si tro­vò largamente implicata nella vita politica e sociale di tutta l'Europa.[9]

Nell'XI secolo, quando le istituzioni feudali raggiungevano il loro più alto grado di sviluppo, e si assisteva, nell'ambito del nuovo impero ottoníano, ad una compenetrazione sempre maggio­re della Chiesa e dello Stato, cominciò a delinearsi in seno alla Chiesa un grande movimento verso una riforma fondamentale che avrebbe dato nuove basi alla Cristianità. Questa riforma che si manifestò in primo luogo attraverso la lotta per le Investiture e la lotta contro la Simonia e il Nicolaitismo, raggiunse l'apice durante il pontificato di Gregorio VII (1073-1085) : giustamente perciò si può parlare di riforma gregoriana. Con essa incomin­ciano per la Chiesa d'Occidente tre secoli grandiosi di cui l'arte gotica è una pura espressione. Periodo straordinariamente ricco di uomini illustri e di spirito creatore, in cui abbondano i santi e i mistici. Sventuratamente proprio allora Bisanzio cade sotto i colpi dei Crociati! Ma già nel 961, quindi poco dopo la riforma occi­dentale di Cluny, il monaco Atanasio, ispirandosi alla riforma studita, aveva posto la prima pietra del monastero di Lavra, sul monte Athos, dando così inizio ad una tradizione che, grazie ad una esistenza millenaria caratterizzata da periodi alterni di gran­dezza e di decadenza, sarebbe giunta fino a noi.

Nell'ambito del significativo movimento della riforma grego­riana si fece sentire ben presto la necessità di una riforma della vita monastica.[10] Essa non era richiesta dalla rilassatezza dei mona­steri; la riforma di Cluny aveva anzi portato frutti eccellenti. Ma in un mondo in via di evoluzione, in cui la Chiesa si dava nuove basi per i suoi rapporti con la società profana, tutti gli elementi della vita della Chiesa erano rimessi in causa, ed in primo luogo la vita monastica. Di fronte ai grandi monasteri tradizionali, che possedevano vaste proprietà terriere ed erano profondamente implicati in tutti gli ingranaggi della vita economica, politica ed ecclesiastica, prese forma un movimento molto forte orientato verso la povertà, la solitudine e l'ideale di vita fraterna della pri­mitiva comunità di Gerusalemme. Nel 1012 S. Romualdo avvìa una istituzione eremitico-cenobitica a Camaldoli. Giovanni Gual­berto fonda verso il 1038 Vallombrosa. Si susseguono poi le fon­dazíoni di Stefano di Thiers a Muret nel 1076 (fondazione tra­sferita in seguito a Grandmont, da cui prese il nome); di S. Brunone a La Chartreuse presso Grenoble nel 1084; di Roberto di Molesme a Citeaux nel 1098 e ,di Roberto d'Arbrissel a Fon­tevrault verso il 1100.

La riforma gregoriana è un punto importante di transizione nella storia della vita religiosa. Nel IX secolo; infatti, si era giunti, con la riforma carolingia, ad un livellamento totale della vita re­ligiosa. A partire dalla riforma gregoriana e dalle numerose fon­dazioni da essa suscitate, si assiste ad una specie di « riconqui­sta » durata fino- ai giorni nostri. Gradatamente, i vari modi di vivere i consigli evangelici riacquistano il diritto all'esistenza. E la prima riconquista è appunto quella di far riconoscere di nuovo il carattere carismatico del monachesimo; che ritrova così una certa spontaneità e capacità creativa: Infrangendo i quadri giuri­dici, esso si !sviluppa sotto tutte le forme: monachesimo urbano e monachesimo del: deserto, cenobítismo ed eremitismo, dosaggi differenti di solitudine e di vita comunitaria.

Parallelamente a questa prima riconquista del pluralismo mo­nastico, gli ecclesiastici dediti al ministero pastorale riacquistavano essi pure il diritto di vivere i consigli evangelici pubblicamente e in una maniera riconosciuta dalla Chiesa Appaiono allora i canonici regolari. Il termine canonicus che, nei primi secoli, era stato utilizzato per designare gli ecclesiastici che figuravano nei registri o nel canone di una Chiesa, verso la fine del VI secolo tende ad essere riservato agli ecclesiastici che conducono vita co­mune. Abbiamo visto che questa vita comune -poteva essere una autentica vita monastica, oppure - soprattutto dopo S. Crode­gango - una vita comune senza rinuncia alla proprietà e senza l'obbligo di mettere in comune i propri beni. Dopo la riforma carolingia, i canonici di vita comune semplice erano nettamente distinti dai monaci. Nel X secolo appare già l'espressione canoni­cus regularis, ma non con il senso che noi le diamo oggi. Si vuol distinguere il canonicus saecularis (che vive indipendente, nel mondo) dal canonicus regularis (fedele all'antico ideale di vita co­munitaria della Regola di S. Crodegango). Nell'XI Secolo, parecchi riformatori, in particolare S. Pier Damiani, si sforzeranno d'ímpor­re la vita comune a tutti i canonici, ma le due forme sussisteranno.

Tuttavia, nello stesso periodo di tempo, un nuovo movimento si fa strada tra il clero ed appare una nuova forma di vita cleri­cale. Pullulano allora i gruppi di canonici regolari (in senso stret­to) : tutti si riallacciano alla Regola attribuita a S. Agostino, pra­ticano integralmente - pur non essendo monaci - i consigli evangelici, non solo osservano il celibato e la vita comune, ma rinunciano totalmente ai beni materiali. Nel 1039, nella chiesetta del quartiere S. Rufo, ad Avignone, quattro canonici della catte­drale fondano quello che diventerà. l'Ordine di S. Rufo, destinato ad un rapido sviluppo (nel 1151 conterà 1.100 case). Tra le numerose fondazioni analoghe, è doveroso- menzionare almeno i canonici di S. Vittore (a. 1113) e quelli di Prémontré (a. 1120).

La vita secondo i consigli evangelici è quindi di nuovo possi­bile non soltanto alle varie categorie di monaci che vivono fuori del: mondo, ma anche agli ecclesiastici che attendono al servizio delle Chiese locali. Sarà pure alla portata dei laici che vivono nel mondo? Si ha l'impressione che costoro siano un po' trascurati in questo contesto religioso in ,cui la religione tende a diventare un'incombenza propria del clero e dei monaci.

Il caso delle « vergini » è caratteristico. Nei primi tempi della Chiesa, erano state numerose le vergini che vivevano in seno alle comunità ecclesiali,  ove erano riconosciute e rispettate. Durante la grande espansione del monachesimo, però, esse erano state assorbite dal movimento: ovunque si sviluppava il mona­chesimo maschile, la vita monastica femminile si stabiliva alla sua ombra. Tuttavia le Chiese locali non furono completamente private dell'ornamento delle loro vergini, ed alcune di esse con­tinuarono a vivere nel mondo. Ben presto si giunse alla distin­zione tra le virgines velatae (che conducevano la vita monastica) e le virgines non velatae (che vivevano nel mondo). Queste ul­time erano fonte di preoccupazione per le autorità sia ecclesiasti­che che imperiali; i Concili, i Papi e i vescovi cercarono di riu­nire queste donne devote in gruppi di vita comune, imponendo loro la stessa regola dei canonici: di qui il nome di canonichesse. Nel X secolo, con la decadenza dell'istituzione canonicale, venne loro applicata la stessa distinzione stabilita per i canonici: vennero distinte in canonichesse regolari e in canonichesse secolari. Queste ultime, semplici gruppi di pie donne, generalmente nobili di origine, scomparvero completamente con la Rivoluzione francese; le prime, invece, diventate vere religiose, esistono ancora ai nostri giorni. Nel Medioevo, gruppi di moniali erano affiliati a ciascuno dei grandi Ordini religiosi.

In pratica, a partire dal X e XI secolo, non è più possibile ad una donna abbracciare la vita di celibato per il Regno senza mu­rarsi, in un modo o nell'altro, dietro la clausura di un monastero. Sarà necessario attendere parecchi secoli prima che si ammetta che una donna può essere religiosa senza rinchiudersi in un chiostro. In quei secoli di rozzi costumi, non si riusciva ad immaginare che una donna potesse mantenersi onesta senza essere protetta da un marito o da un muro: aut maritus aut murus!

All'inizio del secolo XIII, un fattore nuovo di portata straor­dinaria interviene nell'evoluzione della vita religiosa. In tutta la storia della vita religiosa, nulla è più poetico, più delizioso e mi­stico insieme dell'origine dei Frati minori. Nel secolo precedente avevamo assistito a profonde riforme della vita monastica e all'isti­tuzione di austere comunità di canonici regolari. Or ecco che un aitante giovane di Assisi, mosso dalla grazia di Dio e colpito da una frase del Vangelo, decide di abbandonare allegramente tutte le sue ricchezze per consacrarsi a madonna povertà e alla cura dei poveri, senza per questo - ecco la novità - pensare di chiudersi in un monastero! D'altronde, quale clausura avrebbe potuto fer­mare questo vagabondo di Dio e che limiti si potevano mettere alla libertà dei figli di Dio così pienamente assunta? Qualche anno dopo, nel febbraio del 1200, un'altra frase del Vangelo gli tocca il cuore: « Andate e predicate! Dite: il regno dei Cieli è vicino! ». Senza porsi problemi, senza pensare minimamente a diventare ecclesiastico, senza neppure sognarsi di « fondare » qualche cosa di nuovo, Francesco, semplice laico, incomincia a predicare con tanta naturalezza, ma in modo così sublime! Ben presto dodici giovani lo seguono e ne condividono l'originale vita di apostolo. Il grande Papa riformatore Innocenzo III li incoraggia. Nel 1210, un'incantevole ragazza di Assisi si ritira nella solitudine e va ad abitare presso il convento in cui Francesco e i suoi frati vivono nella fraternità, non tardando a diventare la fondatrice delle Povere Donne. Inoltre, uomini e donne che vivono nel mondo trattenuti dai loro doveri, mossi dalla predicazione e dall'esempio dei Frati minori, si raggruppano per rinnovare e vivere in profondità la vita cristiana. È la formula dei Terzi-Ordini: nei secoli seguenti, essi saranno un fattore importantissimo nel lento sforzo di decleríciz­zazione della religione cristiana.

Francesco aveva voluto che i suoi discepoli fossero semplici cristiani che vivevano, nel mondo e per i cristiani del mondo, la vita del Cristo povero, nella penitenza, nella preghiera e nella pre­dicazione. Istituzionalizzandosi, la sua comunità diventò rapida­mente un ordine clericale. La sua fondazione, però, occupa un po­sto di estrema importanza nella dinamica della vita religiosa, poi­ché la pratica dei consigli evangelici aveva nuovamente varcato la soglia dei monasteri e dei conventi di canonici, per calcare le grandi strade, nella piena libertà dei figli di Dio.

Nel 1215, il Concilio Lateranense IV, preoccupato della proli­ferazione un po' anarchica delle Famiglie religiose, decretò che nessun nuovo Ordine fosse autorizzato e che chiunque volesse fon­dare un'associazione religiosa adottasse una regola già approvata. Questa legge infelice, che arrestava ancora una volta l'evoluzione della vita religiosa, non fu applicata ai Frati minori per espressa volontà di Innocenzo III.

Mentre il Poverello dava inizio alla sua vita di trovatore di Dio, un giovane canonico regolare premonstratense, di nome Domenico, intraprendeva, insieme al suo vescovo, un corso di pre­dicazione nella Linguadoca cristiana, desolata dall'eresia albigese. Da questa esperienza sarebbe nata un'associazione che avrebbe alleato la testimonianza della fraternítà e di una vita povera e penitente ad una totale dedizione all'insegnamento e alla predi­cazione sotto tutte le latitudini del globo. Non avendo avuto_ la fortuna, che ebbe Francesco, di fare approvare la sua Regola di vita prima della decisione restrittiva del 1215, Domenico dovette adottare una Regola già esistente, e scelse quella dei canonici re­golari, attribuita a S. Agostino. Era nato un nuovo ordine, simile sotto molti aspetti a quello di Francesco: sintesi felice di un'esi­stenza apostolica che accetta l'austerità e lo spoglíamento di una vita monastica, ed è organizzata secondo le regole della vita dei canonici regolari.

  Altre comunità di Mendicanti nacquero nella seconda metà di questo stesso secolo, in particolare i Carmelitani e gli Eremiti di S. Agostino La fondazione degli Ordini mendicanti è impor­tante perché, con essa, viene riconosciuto il principio di una vita consacrata, in cui la pratica integrale dei consigli evangelici è inserita in una vita di laici o di ecclesiastici impegnati per voca­zione nell'apostolato attivo in mezzo al mondo. Anche la creazio­ne dei Terzi-Ordini ha la sua importanza nella storia della promo­zione lenta del laicato nella Chiesa. Però, la decisione del 1215 avrebbe notevolmente frenato l'evoluzione successiva; obbligando le nuove fondazioni suscitate dallo Spirito ad entrare nei quadri che avrebbero rallentato il pieno sviluppo del loro carisma proprio.

Tuttavia, il XII secolo aveva dato vita ad alcuni Ordini di un genere un po particolare. Anch'essi, a modo loro, concorrevano alla riconquista del pluralismo delle forme della vita religiosa. È inutile che ci fermiamo sul fenomeno tipicamente medievale degli Ordini militari e cavallereschi. Più conformi all'ideale della vita religiosa sono certamente gli Ordini ospedalieri; gli Antoniani, i Fratelli dello Spirito Santo, i Fratelli di S. Lazzaro, i Crocigeri, ecc. In generale, questi assunsero la struttura dei canonici, regolari, o furono assimilati ad essi in epoca posteriore: è il caso degli Anto­niani, fondati nel 1095 e riorganizzati,da Bonifacio VIII nel 1297 in Congregazione di canonici regolari. Un'altra iniziativa che esula un poco dal comune fu quella degli Ordini redentori: í Trinitari fondati nel 1198 e i Mercedari fondati nel 1223. Queste fonda­zioni, pur dovendosi adattare a quadri per nulla appropriati, anti­cipano quello che saranno le nostre comunità religiose consacrate ad un'opera concreta di misericordia corporale.

In Oriente non vi fu questa fioritura di Ordini religiosi perché esso non conobbe il livellamento imposto alla vita religiosa occi­dentale dalla riforma carolingia, ed il monachesimo si conservò quindi più duttile, venato di pluralismo. Alcuni « monaci » sanno eventualmente compiere tutti i servizi (predicazione, `assistenza dei malati, ínsegnamento), per i quali in Occidente sono fondate nuove istituzioni.

In Occidente, i secoli XII e XIII sono « epoche d'oro » sia per i grandi Ordini tradizionali sia per gli Ordini, nuovi. La linfa vitale è dappertutto abbondante. Gli Ordini monastici moltipli­cano i loro monasteri e conservano il fervore; gli Ordini mendicanti portano la Parola di Dio non solo in Europa, ma nelle più remote terre di missione.

Questo grande movimento di espansione fu alla base di uno sforzo di riflessione teologica e di una certa sistematízzazione della vita religiosa: Questa sistematizzazione però, in sé necessaria e utile, ebbe i suoi inconvenienti. Finora; l'impegno nella vita reli­gíosa comportava solo una promessa; una professio, con cui si ac­cettava un determinato :tenore di vita. L'impegno al celibato, o « voto di verginità » era spesso menzionato esplicitamente. Negli Ordini nuovi, ed innanzitutto tra i Francescani, la formula di pro­fessione rende espliciti i tre voti diventati tradizionali; povertà, castità e obbedienza. Contemporaneamente„ la distinzione già nota in, precedenza tra il «,semplice voto;» - o voto semplice - di castità (non ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa) e il voto solenne (riconosciuto e consacrato dalla Chiesa -con gesto rituale) si accentua. Questa distinzione si allarga poi agli altri due voti. Siccome tutti i grandi Ordini monastici avevano la professione solenne; ben, presto si fece strada l'idea che senza. i tre voti solenni (alcuni dei quali potevano anche essere espressi implicitamente:) non ci fosse consacrazione religiosa, e che questi tre voti - chia­mati d'ora innanzi i tre « voti essenziali » dello stato religioso - fossero una condizione sine qua non di questo « stato ». Per le religiose, la situazione fu ancor più restrittiva a partire dal XIII secolo; poiché i voti solenni (costitutivi dello stato religioso) furo­no indissolubilmente legati all'obbligo della clausura papale stretta.

Questa sistematizzazione e i quadri legislativi rigidi da essa scaturiti non ci sorprenderanno, se ricordiamo che questo nuovo incremento della vita religiosa affonda le sue radici nella riforma gregoriana che fu per la Chiesa un periodo d'istituzionalizzazione e di centralizzazione; caratterizzato da uno sviluppo molto forte del diritto canonico. Sulla nuova concezione giuridica dei voti si innestò una nuova teologia della vita religiosa fondata sulla no­zione dei « tre consigli evangelici, teologia che ha dominato fino ai nostri giorni. Tuttavia, essa sta cedendo il passo ad una visione più globale del dato evangelico sulla vita perfetta.

La vita religiosa è ormai considerata molto più come uno stato che come una vita, e questo fatto tradisce una preoccupazione tutta medievale. Sono riconosciuti come religiosi solo coloro che soddisfano le esigenze richieste per far parte di questo « stato »; e non è riconosciuta la possibilità di vivere i consigli evangelici fuori di questi rigidi quadri. Però, la vita, quando è abbastanza forte, è in grado di rompere gli schemi troppo rigidi e sa crearsi le proprie leggi. Accanto alla vita religiosa ufficiale si sviluppa tutto un movimento, che annuncia le forme di vita di molte nostre Congregazioni moderne. I Terziari di S. Francesco e di S. Domeni­co sono i primi a dar vita a questo movimento. Alcuni di essi, in numero sempre maggiore, non tardarono ad adottare la vita co­mune, con legami giuridici più o meno stretti. Accadeva perfino che facessero voto di celibato. L’organizzazione di questi movi­menti fu molto favorita dall'approvazione concessa nel 1289 da Niccolò IV alla Regola dei Terziari dell'Ordine di S. Francesco. Queste comunità praticarono spesso i « tre voti », anche se essi non erano « solennemente riconosciuti ».

Nei secoli XIV e XV una profonda crisi di civiltà investe l'Occidente cristiano. L'ideale unitario della « cristianità » me­dievale perde mordente in favore di un nuovo ordinamento, quel­lo delle unità politiche a raggio nazionale, territoriale (principati, ducati, repubbliche) o cittadino (città libere dell'impero). Questi cambi non avvengono generalmente senza lotte. Per colmo di sventura in questo « autunno del Medioevo », la peste nera si aggiunge alle guerre e ad altre calamità e uccide, da sola, un terzo della popolazione europea. Turbata e colpita da queste sventure, nonché dallo scisma (1378-1417) e dall'affermarsi delle idee con­ciliari, la Chiesa, non meno della società civile, attraversa un nuovo tormentoso periodo di travaglio e di decadimento. Anche gli Or­dini religiosi (ad eccezione dei Certosini e in parte dei Cistercensi) subiscono un deplorevole declino nel campo della disciplina reli­giosa, della ricerca scientifica e dello zelo apostolico.

Tuttavia già verso la fine del XIV secolo e lungo il XV secolo cominciano a formarsi in diversi Ordini religiosi « attive cellule di autoriforma », dette « Osservanze », le quali richiamano l'atten­zione sul dissidio esistente fra l'ideale evangelico professato e il languore od anche l'infedeltà della vita vissuta.

Questo limitato slancio di rinnovamento fa sorgere nell'Ordi­ne benedettino le congregazioni per la riforma di S. Giustina a Padova, di Valladolid, di Chézal-Benoit, di Melk e di Bursfeld; presso gli Eremitani agostiniani, quelle di Lecceto, di S. Giovanni a Carbonara, di Perugia, di Genova, di Zamponi, la lombarda e la sassone in Germania; tra i Serviti, quella di monte Senario.

Anche gli Ordini mendicanti dei Domenicani, dei Francescani e dei Carmelitani sono scossi da impulsi rinnovatori. La riforma del Savonarola, che non ha successo duraturo in Italia, si affer­ma tra i Domenícani della Spagna. All'interno del francescanesimo, il movimento dell'Osservanza, iniziato nel 1378 da Paolo Trinci da Foligno e guidato nel XV secolo da S. Bernardino da Siena, da S. Giovanni da Capestrano e da Giacomo della Marca, raggiunge un tale sviluppo che Leone X con la bolla Ite vos in vineam (29 maggio 1517) lo separa dai Conventuali e lo eleva a dignità di ramo autonomo del vecchio tronco francescano.

Gli autori di questi moti di riforma non elaborano grandi pro­getti. Essi insistono sulla necessità di un maggior impegno nella santificazione personale attraverso il ripristino di una ordinata vita di comunità secondo lo spirito delle regole, le quali esprimono ciascuna, a suo modo, una particolare maniera di imitare l'esempio di Cristo e di sintonizzarsi con la volontà del Padre celeste.

Tra le nuove fondazioni di famiglie religiose va ricordata l'as­sociazíone dei Fratelli della vita comune, affiancata dal ramo fem­minile delle Sorelle della vita comune, sorti ad opera del diacono Gerardo Groote (+ 1384), coadiuvato dal canonico di S. Pietro a Utrecht, Fiorenzo Radewijns. I Soci, mentre si propongono di attendere al loro perfezionamento spirituale, si dedicano pure al­l'apostolato dell'esempio, della scuola e della predicazione, e alla trascrizione e miniatura di libri. Alcuni discepoli del Groote fon­dano a Windesheim una Congregazione di canonici regolari, la quale verso la fine del Quattrocento contava 84 conventi maschili e 13 femminili.

I Fratelli della vita comune e i canonici di Windesheim dif­fondono nei Paesi Bassi, nella Germania meridionale e altrove un nuovo slancio di vita cristiana, noto col nome di Devotio moderna. Il termine indica un moto di rinnovamento spirituale, proteso a favorire un più conscio impegno personale nella vita cristiana per mezzo della scelta di Gesù Cristo a modello.

Movimenti simili a quello « devoto » si sviluppano pure nel­l'Europa meridionale. Due gruppi inizialmente laici, si trasformano poi in veri Ordini religiosi: i Gerolamiti, originatisi da quattro Congregazioni di eremiti, sorte in Spagna e in Italia nei secoli XIV e XV, e orientatesi alla recita dell'ufficio corale; allo studio. e all'apostolato; e i Gesuiti, fondati a Siena verso il 360 dal beato Giovanni Colombini e dediti all'esercizio della penitenza e del­l'assistenza agli infermi.

Verso il 1460 S. Francesco da Paola, che impressiona i con­temporanei per la sua vita austera e penitente, fonda l'ordine dei Minimi cui lascia una regola assai rigida di ispirazione francescana.

Contemporaneamente, nel campo femminile si moltiplicano le società di « suore grigie » o di « suore nere », nel nord della Francia e nel Belgio. Sono Congregazioni ospedaliere i cui membri si impegnano perfino a curare gli ammalati a domicilio. Esse emet­tono, e pubblicamente, i tre voti di religione; ma non sono consi­derate « religiose», perché i voti non sono solenni e manca la clausura papale. Questo fatto, peraltro, le preserva dalle esigenze dei canonisti!

 

3. Dal XVI al XX secolo

All'inizio del XVI secolo, da ogni parte, i mistici e i profeti invocano una riforma, finché, non giungendo la riforma ufficiale, Lutero pone mano alla sua propria. Ma anche in seno alla Chiesa, in vari ambienti, molto prima della riforma ufficiale di Trento, alcune anime fervorose non si sono limitate a sentire e a procla­mare la necessità di una riforma, ma si sono messe esse stesse al­l'opera. All'inizio del secolo, proprio mentre stava maturando la Riforma protestante, sussulti di fervore scuotevano qua e là la Chiesa. È significativo il fatto che pii cristiani si riunissero un po dappertutto per leggere la Scrittura, discutere di teologia e di mi­stica e affrontare tutti i problemi della Chiesa. La più celebre di queste associazioni fu l'Oratorio del divino Ancore, creatasi verso il 1510-1520 in una piccola chiesa di Trastevere a Roma: essa fu alla base di parecchie fondazioni religiose propriamente dette. Con­temporaneamente, il movimento di riforma che scuoteva la maggior parte degli Ordini antichi, si estende. Questa riforma segue un po' dovunque lo stesso processo. I grandi Ordini sono corpi immensi che non hanno più sufficiente linfa vitale per rinno­varsi. Allora Dio suscita uomini carismatici che riformano una comunità, una casa, e attorno a questa cellula iniziale raggruppano poi altre case, fino a creare a poco a poco una Congregazione. Un esempio caratteristico all'inizio del XVI secolo lo abbiamo nella riforma dei Camaldolesi ad opera del beato Giustiniani.

Già prima del Concilio, questo vento di riforma fu accompa­gnato dalla fondazione di nuove comunità, ed in particolare dalla creazione dei chierici regolari. Sia gli Ordini mendicanti che i canonici regolari, pur consacrandosi all'apostolato attivo, avevano conservato un tenore di vita abbastanza vicino a quello dei mo­naci. Il clero secolare quindi, quello delle parrocchie, era sempre stato appena sfiorato da questi movimenti di riforma della vita clericale. Le nuove comunità di chierici regolari raggruppavano in fraternità i sacerdoti che si consacravano al ministero ordinario e che volevano vivere i consigli evangelici, pur rimanendo nel clero parrocchiale e condividendone la vita. Nacquero così, gli uni dopo gli altri, i Teatini di S. Gaetano da Thiene e di Giovanni Pietro Carafa, i Barnabiti di S. Antonio Maria Zaccaria, i Somaschi di Gerolamo Emiliani, ed altri ancora. Parecchie di queste nuove Congregazioni ebbero una fondazione femminile parallela alla loro. Queste comunità femminili realizzavano già ciò che S. Francesco di Sales non sarebbe riuscito ad attuare con le sue Visitandine: vivere non un'esistenza chiusa in un chiostro, come era sempre avvenuto perle religiose, ma impegnarsi ad affiancare il clero in opere di carità, d'insegnamento e di apostolato. Dobbiamo ammet­tere però che acquistarono una certa importanza solo quelle co­munità che accettarono ben presto `il genere di vita degli Ordini antichi, a cominciare dalla clausura papale, come avvenne in Francia per le Orsoline.

La più importante fondazione di questo periodo fu ovviamen-te quella della Compagnia di Gesù. Con la sua milizia messa al servizio del Papa per lavorare in tutta la Chiesa, con i suoi reli­giosi che in nulla si distinguevano dai sacerdoti secolari, con la grande libertà d'azione lasciata ai singoli membri in seno ad un Ordine fortemente strutturato, per la prima volta la vita religiosa si liberava totalmente dalle strutture monastiche in cui si muo­veva da quando la riforma carolingia aveva ristretto la pratica riconosciuta dei consigli evangelici alla sola forma monastica. Co­me tutte le grandi fondazioni di questo genere, la fondazione di Ignazio di Loyola era frutto di una lunga evoluzione. Era prepa­rata da tutto il movimento di riforma che animava la Chiesa già da qualche decennio.

Nella XXV sessione, il Concilio di Trento trattò unicamente di coloro che erano considerati religiosi di diritto: De Regularibus et Monialibus, cioè dei religiosi e delle religiose a voti solenni. Elaborò tutto un arsenale di regolamenti, di prescrizioni e di san­zioni per riformare la vita religiosa. Benché lo stesso grande Papa riformatore Pio V si sia consacrato a questa missione, non pare che questa riforma di carattere giuridico ed istituzionale, simile a quella di Aix-la-Chapelle, abbia avuto, in sé, grandi risultati. Se, effettivamente, la riforma della vita religiosa venne attuata, ciò è legato al fatto che, già prima del Concilio, gli Ordini religiosi era­no stati permeati da un soffio di rinnovamento e questo soffio andava intensificandosi. La riforma più clamorosa fu certamente quella del Carmelo, realizzata dall'infaticabile ed attiva mistica Teresa d'Avila e dal suo fedele amico e collaboratore Giovanni della Croce.

In questo stesso periodo, assistiamo ancora ad alcune nuove fondazioni. Notiamo, tra le altre, quella dell'Oratorio di Filippo Neri, così simpatico, così allegro e così sconcertante. Questo Ora­torio è la prima realizzazione di ciò che oggi chiameremmo una Società di vita comune senza voti. Ecclesiastici e laici pii, soggetti alla medesima semplicissima regola, vivono in unione di preghiera e di azione, senza nessuna disciplina esteriore imposta, senza un rigido regolamento, senza altro vincolo oltre quello che nasce dal vicendevole affetto e dal contatto quotidiano.

La riforma di Pio V ebbe come effetto di centralizzare ancor più la vita religiosa che d'ora in poi dipenderà sempre più dal­l'autorità ecclesiastica ed in particolare dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari, la cui azione avrebbe ottenuto un livella­mento sempre maggiore delle Congregazioni e degli Ordini reli­giosi. Questa riforma rese di nuovo molto precaria la vita delle comunità di Terziarie o di religiose « secolari » che si erano andate creando nei secoli precedenti, affiancando la vita religiosa propria­mente detta. A causa di certi abusi, il Papa prese una misura radi­cale e, con la costituzione Circa Pastoralís del 1566, ordinò innanzi tutto che la clausura fosse strettamente osservata in tutti i mona­steri, poi fece invitare le Terziarie od altre comunità analoghe, che non avevano i voti solenni, a pronunciarli e quindi ad adottare la clausura papale. In casi particolari, i vescovi erano autorizzati a permettere che queste comunità continuassero nel loro tenore di vita, ma con la proibizione di accettare novizie... Fortunata­mente questa disposizione non fu applicata alla lettera, ed alcune comunità perseverarono sempre, benché in numero ridotto. Ma le resistenze furono lunghe e numerose. Nel 1572, Gregorio XIII confermava le disposizioni adottate da Pio V riguardo alle religio­se, e nel 1592 la Congregazione dei Vescovi e Regolari permette­va ai vescovi di proibire perfino la vita comune alle Terziarie che non volessero accettare la clausura papale.

La fondazione della Compagnia di Gesù aveva introdotto una novità importante in questo ordine di cose.[11] Non soltanto gli sco­lastici e i fratelli coadiutori, per un periodo abbastanza lungo di prova, dovevano limitarsi a fare i voti semplici, ma la Compagnia era composta da due categorie di professi, gli uni legati dalla professione solenne dei quattro voti, gli altri da una professione di voti semplici. Nel 1584, una solenne dichiarazione di Gregorio XIII fece cadere l'obiezione secondo la quale tutti i professi a voti semplici non erano « veri » religiosi; ma per quasi tre secoli i canonisti continuarono a vedere in questo uno specialissimo pri­vilegio. 

Quando, all'inizio del XVII secolo, S. Francesco di Sales ebbe l'idea di una comunità di religiose che non vivessero dietro le mura di un chiostro, ma che si dedicassero all'esercizio della ca­rità nel mondo, l'opposizione all'apostolato delle religiose fuori della clausura e senza voti solenni era ancora così viva che le sue Visitandine dovettero accettare la vita di suore di clausura. Ciò che non era riuscito ad ottenere S. Francesco di Sales, l'ottennero S. Vincenzo de Paoli e Luisa de Marillac con la fondazione delle Figlie della Carità. Essi trovarono la soluzione giusta: ignorando le distinzioni dei canonisti e rassegnandosi ad essere private del nome di « religiose », le Figlie della carità si limitarono ad emet­tere voti privati e così, sotto forma di una Società di pie, donne senza voti pubblici, poterono godere della libertà dei figli di Dio e integrare il servizio dei poveri ad un'autentica pratica dei consigli evangelici. L'avvio era stato dato, e sia in Francia che in Germa­nia parecchie Congregazioni analoghe assicurarono, soprattutto nell'insegnamento e nella cura dei malati, l'esercizio della carità cristiana, a maggior gloria della Chiesa... e dello stato religioso da cui erano ufficialmente rigettate.

Per tutto il XVII secolo, le comunità sia maschili che femmi­nilí si moltiplicarono a tal punto che sarebbe temerario cercare di enumerarle. In generale, non si tratta di religiosi o di religiose in senso stretto, ma sono approvati dai vescovi e spesso perfino la Santa Sede ratifica i loro Statuti, pur non approvando gli Istituti in quanto tali... Si sarebbe contravvenuta la decisione di Pio V !

Con la Rivoluzione francese, l'Europa corse il rischio di cadere in una nuova notte, , almeno in Francia, si ebbe la scomparsa qua­si totale della vita religiosa organizzata. In questa situazione parti­colarissima nacque una fondazione originale, che ! è,, nel passato, l'esempio più bello di ciò che oggi sono gli Istituti secolari.[12] Il Padre de Clorivière, per le circostanze che rendevano impossibile in Francia la vita religiosa ordinaria, pensò di fondare comunità i cui membri non portassero alcun segno distintivo, nessun abito, vivessero in seno alle loro famiglie, assolvessero la loro normale funzione nella società, ma che in questo modo, senza essere co­nosciuti, da nessuno, continuassero l'opera dei religiosi e delle reli­giose espulse.

Dopo la Rivoluzione, i vescovi e i Papi dovettero aprire gli oc­chi all'evidenza e riconoscere l'utilità e la necessità delle comunità senza clausura che, con vero zelo, si dedicavano alle opere di misericordia, all'insegnamento e alla evangelizzazíone, specialmente in terra di missione. Il movimento di rinascita religiosa, che seguì la Rivoluzione; favorì il loro moltiplicarsi. Mentre il diritto rico­nosceva come religiosi unicamente gli Ordini a voti solenni e con clausura, i vescovi e la Santa Sede, per tutto il XIX secolo, ap­provano a dozzine le Congregazioni religiose a voti semplici; con­tinuando però ad affermare che non sono « Congregazioni religio­se propriamente dette », Ricordiamo, a modo di esemplificazione, la Congregazione di Santa Croce, fondata nel 1837 ed approvata definitivamente dalla Sede Apostolica il 18 giugno 1855; i Mis­sionari del Cuore Immacolato di Maria (Claretiani ), istituiti il 16 luglio 1849 ed approvati l'11 febbraio 1870; e la Società di S. Francesco di Sales (Salesiani), fondata da S. Giovanni Bosco il 18 dicembre 1859 ed approvata il 1° marzo 1869. Finalmente, la costituzione Conditae a Christo di Leone XIII del 1900 e le Normae della Congregazione dei vescovi e regolari del 1901 adat­tarono il diritto alla vita, riconoscendo come religiose le Congre­gazioni a voti semplici.

D'altra parte; queste Normae sistematizzavano al massimo il concetto di vita religiosa; entravano nei particolari dell'organiz­zazione delle Congregazioni e degli Ordini, e presentavano un modello preciso di Costituzioni. Nelle revisioni delle Costituzioni eseguite allora, parecchi Ordini e Congregazioni perdettero quasi totalmente l'originalità del loro carisma proprio.

Contemporaneamente, il laicato acquistava una coscienza sem­pre più profonda di sé e della sua vocazione in seno al Popolo di Dío. Il cattolicesimo sociale si sviluppò unitamenteall'Azione cattolica. Questo inserimento dello spirito evangelico in tutte le classi della società prepara il riconoscimento ufficiale di una forma di vita evangelica che esisteva da molto tempo e che si andava lentamente organizzando: gli Istituti secolari. Nella Chiesa vi sono sempre stati fedeli desiderosi di vivere integralmente le esigenze più radicali della vita evangelica, ma che, per un concorso di circo­stanze particolari o per una vocazione personale del Signore, dove­vano rimanere nel mondo e continuare ad assolvere la loro fun­zione nella società. È comprensibile che essi abbiano sempre cerca­to di riunirsi in pie associazioni o società. A partire dal XIX secolo, parecchie di esse cercarono di ottenere da Roma un'appro­vazione che riconoscesse il loro valore morale e religioso e che fosse una garanzia per quelli e per quelle che desideravano aderir­vi. Sventuratamente, il loro tenore di vita non quadrava con le nozioni canoniche della vita religiosa né con la nuova nozione che la vita si sforzava d'imporre tra mille difficoltà ai canonisti della curia: quella di « Congregazione a voti semplici ». Un decreto del 1889, della Congregazione dei Vescovi e Regolari, si limita a lodare il fine di simili associazioni e a dichiarare che al massimo si potrà conferire loro il titolo di « pie associazioni ». Solo nel 1947, Pio XII, con la costituzione Provida Mater Ecclesia, rico­noscerà ufficialmente gli Istituti secolari come stato di perfezione e darà loro uno statuto giuridico.

I teologi hanno molto discusso per sapere se i membri di que­sti Istituti secolari fossero « religiosi » o « laici ». Fu somma cura degli stessi membri conservare il loro carattere laico e riu­scirono di stretta misura a fare inserire nel n. 11 del decreto Perfectae Caritatis un inciso in cui si afferma esplicitamente che essi non sono Istituti religiosi benché permettano un'autentica e completa professione dei consigli evangelici nel mondo, profes­sione riconosciuta dalla Chiesa.[13]

 

4. Insegnamento della storia e compito attuale

Gettando uno sguardo d'insieme sull'evoluzione della vita religiosa, si possono distinguere con facilità due grandi periodi, uno che va dalle origini fino al X secolo e l'altro che va dalla riforma gregoriana fino ai nostri giorni.

Il primo periodo, dopo qualche tempo di rapida e vasta espan­sione, è caratterizzato dalla riduzione del ventaglio delle forme di vita religiosa. Nei primi secoli, cristiani di tutte le classi sociali si applicano a vivere radicalmente la loro vita cristiana in confor­mità ai consigli evangelici. Essi continuano a rimanere nella società oppure si ritirano nella solitudine; si riuniscono in fraternità oppure vivono da eremiti; sono ecclesiastici oppure laici. La vita religiosa non è assente da nessuna forma di vita sociale, anzi, assume essa stessa tutte le forme. A poco a poco, il monachesimo si sviluppa straordinariamente e questo sviluppo suscita uno sforzo legislativo, che gradatamente fa della vita religiosa uno « sta­to di vita » ufficialmente riconosciuto, e finisce col ricusare questo riconoscimento alle forme non monastiche della vita religiosa. Infine, con la riforma carolingia, il monachesimo stesso, almeno in Occidente, è ridotto ad un comune denominatore.

Questo movimento di « riduzione » non è dovuto al semplice fatto dello sviluppo straordinario del monachesimo. È legato in­nanzitutto ad un raffreddamento del carisma, il quale non è certa­mente estraneo ad uno sviluppo numerico troppo vasto e troppo rapido. Neppure la legislazione, in sé, è stata causa di questo raf­freddamento e di questa riduzione del ventaglio delle forme di vita religiosa. I grandi movimenti monastici, come quelli di Paco­mio e di Basilio, infatti, avevano saputo strutturarsi saggiamente. per favorire l'espansione e la sopravvivenza del loro carisma. La sclerosi sopraggiunge quando, per mancanza di vitalità spirituale e per la degradazione dell'istituzione, si deve imporre dall'esterno una legislazione per salvaguardare ciò che S. Benedetto definisce una certa « honestas morum » (RB c. 73).

A partire dall'XI secolo, affiora un movimento in senso in­verso che dura fino ai nostri giorni. Per esigenze interne, e nel quadro della grande riforma gregoriana, il monachesimo riprende a differenziarsi. Poi, al suo fianco, riappaiono nuove forme di vita religiosa, e si assiste quindi ad una specie di graduale « ricon­quista » del diritto all'esistenza nell'ambito della Chiesa istitu­zionale per ogni forma di vita consacrata, riconquista che si è protratta fino ad oggi. I canonici regolari hanno per primi unito la pratica dei consigli evangelici al servizio di una Chiesa locale; gli Ordini mendicanti la uniranno poi all'apostolato nella Chiesa universale; infine, innumerevoli forme di vita religiosa non di clausura si inseriranno di fatto nella cerchia della Chiesa e finiranno con l'essere da essa riconosciute di diritto, in capo a parecchi secoli. Finalmente, con gli Istituti secolari, abbiamo il riconoscimento ufficiale di uno stato di perfezione evangelica nel mondo, fuori dei quadri della vita religiosa canonica.

Questo periodo ha avuto inizio con le riforme  monastiche dell'XI secolo; esse, a loro volta, sono nate dalla grande riforma gregoriana: Orbene, noi conosciamo la spiccata tendenza di que­

sta riforma verso la centralizzazione e l'istituzionalizzazione. Nel­l'ambito di uno Stato civile accaparratore, la Chiesa poteva con­servare la propria libertà - o riacquistarla - solo istituzionalizzando fortemente se stessa. Anche la vita religiosa dovette adat­tarsi ai rigidi quadri dello stato religioso, rinunciando così, come prima conseguenza, alla sua spontaneità carismatica. Questa no­zione di stato religioso e questi quadri si sono mantenuti fino ai nostri giorni; invece, la riconquista del pluralismo delle ` forme obbligò a creare periodicamente nuove « dimore » in questo edi­ficio, e nuove specie all'interno del genere, per dissezione del concetto. Dopo aver distinto lo stato di vita contemplativa dallo stato di vita attiva (e lo stato di vita mista, per coloro che non entravano in alcuna di queste categorie), si distinsero gli Ordini dalle Congregazioni, e queste furono ancora distinte in base alla diversità dei loro fini « secondari ». Ogniqualvolta una nuova forma di vita religiosa veniva imposta dalla vita, si richiedeva ai canonísti un'autentica ginnastica per trovarle un posto all'interno di queste strutture. E siccome la duttilità non sembra essere la peculiarità propria degli uomini di legge, questa ginnastica è sem­pre stata laboriosa e lenta.

I teologi furono facilmente portati a considerare questi quadri come costitutivi dello stato religioso. E poiché la tendenza me­dievale esigeva che ogni dato storico fosse considerato acquisito una volta per sempre, ogni evoluzione della vita religiosa era destinata ad aggiungere forme nuove alle antiche. Infatti, chi avrebbe osato rimettere in causa forme già ufficialmente approvate dalla più alta autorità ecclesiastica? Inoltre, tolto il caso della repressione di abusi evidenti, ogni riforma poteva sfociare in una scissione dell'Ordine in due o parecchie osservanze: antica o nuova osservanza, calzati o scalzi, con o senza barba, ecc.

È nella vita religiosa che la Chiesa ha vissuto in maniera più acuta la tensione - naturale nel suo ambito - tra il carisma e l'istituzione. Il carisma della vita religiosa, come ogni carisma, doveva istituzionalizzarsi per sopravvivere. Poiché la perfetta armonia tra il carisma e l'istituzione è impossibile su questa terra, si assiste nella storia ad una specie di va e vieni, di avvicenda­mento tra l'asfissia del carisma ad opera delle istituzioni diventate troppo pesanti, e l'esplosíone delle istituzioni sotto la spinta vitale del carisma, per arrivare a nuove istituzioni - il tutto intersecato da periodi di relativo equilibrio.

Il carattere carismatico della vita religiosa traspare molto chia­ramente da questa evoluzione. Mai l'autorità gerarchica ha creato una nuova   forma di vita religiosa, e sempre la riforma decretata per via di autorità si è limitata ad impedire il peggio. Ogni volta che nella Chiesa la vita religiosa nasce o viene riformata, sempre troviamo alla base di questa nascita o di questo rinnovamento una persona carismatica o più persone carismatiche mosse irresistibil­mente dallo Spirito. Le vere riforme, quelle che portano frutti ed aprono nuove vie,   sono le riforme spirituali. Il cuore della riforma è la riforma del cuore.

Il compito che si presenta oggi ai religiosi è immenso. Gli Ordini e le Congregazioni che, essendosi affrettatí a rivedere il testo delle Costituzioni o dei costumíeri, credono di aver compiuto il loro sforzo di rinnovamento, rischiano seriamente di aver fatto un buco nell'acqua. È necessario; innanzi tutto, suscitare un rin­novamento spirituale il quale genererà, a poco a poco, le strutture indispensabili alla vita. Cominciare con la riforma delle strutture, senza preoccuparsi sufficientemente della riforma spirituale, signi­fica mettere l'aratro davanti ai buoi.

Come al tempo di Gregorio VII, noi ci troviamo ad una svolta importante nella storia della civiltà. Sono mutate le basi su cui la società si fondava, e la Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II, ha incominciato ad interrogarsi sulla sua identità, per crearsi nuove basi in questo mondo in evoluzione. Un'identica ricerca del­la loro identità s'impone agli Ordini religiosi. Non si tratta di continuare a moltiplicare le forme di vita religiosa e le « osservan­ze » in seno ad uno stesso Ordine. In fin dei conti l'immaginazione umana è limitata, e le nuove fondazioni sarebbero destinate a co­piare dalle comunità esistenti. Piuttosto, occorrerebbe fare il pun­to sulla grande evoluzione da noi descritta, ritornando ad una mag­giore unità nell'ambito di un pluralismo coscientemente riscoperto. Si giungerà necessariamente a domandarsi se vi sia posto per parecchi Ordini giuridicamente distinti in seno alla grande fami­glia monastica; se sia opportuno conservare tanti Istituti di suore addette agli ospedali o insegnanti, Istituti che hanno la stessa forma di vita e Costituzioni praticamente intercambiabili, e che devono assicurare tutti il mantenimento di un'importante curia generalizia, ecc.

Oggi, dai canonisti, non ci attendiamo più un adattamento tardivo della situazione giuridica allo stato di fatto imposto dalla vita, ma l'elaborazione di quadri non troppo rigidi da permettere alla vita di svilupparsi in essi liberamente sotto la direzione dello Spirito. In definitiva, lo stato religioso è solo un concetto, anche se significativo. Ciò che esiste, concretamente, sono i religiosi, uomini e donne che sono stati personalmente chiamati dal Cristo e che devono dare a questa vocazione una risposta personale. Lo Spirito non parla alle istituzioni, ma agli uomini. La preoccupazio­ne maggiore non deve essere quella di conservare o di adattare uno stato, ma di promuovere una vita.

Sotto il pontificato di Paolo III, la « Commissione di Rifor­ma », incaricata di preparare il Concilio di Trento, propose la sop­pressione pura e semplice di tutti gli Ordini esistenti! Misura ra­dicale che non fu adottata dal Concilio - ed a ragione - perché ogni evoluzione reale deve realizzare la sintesi di una continuazio­ne e di una rottura. Però è vero che qualche cosa deve sempre morire, perché la vita risorga. Se il chicco di grano non muore... Il dramma e le sofferenze di molti Ordini religiosi ai nostri giorni, ci permettono d'intravedere i segni di una vita nuova.



[1] Cfr. P. JORDAN, Pythagoras and Monachism, in Traditio (1960) 432­

441.

[2] Cfr. J., NEUSNER, The fellowship (« chabourah ») in the second Jewish Commonwealth, in The Harvard theol. review (1960) 125-142.

[3] Cfr. J. CARMIGNAC et P. GUILBERT, Les textes de Qumrân traduits et annotés, T., 1, La Règle de la Communauté, la Règle de la guerre, les hymnes, Paris 1961.

[4] Cfr. K.VL. TRUHLAR, Laïcs et conseils, in Laïcs et vie chrétienne parfaite, T. I, Roma 1963, 163-195; e soprattutto S. LEGASSE, L'appel du riche, contribution à l'étude des fondements scripturaires de l'état religieux, Paris 1966.

[5] Schürmann, Le groupe des disciples de Jésus, signe pour Israël et prototype de la vie selon les conseils, in Christus 13(1966) 184-209.

[6] J. GRIBOMONT, Le monachisme au sein de l'Eglise en Syrie et en Cappadoce, in Studia Monastica 7 (1965) 7-24.

[7] Cfr. A. VEILLEUX, The Interpretation of a Monastic Rule, in The Cistercian Spirit: A Symposíum in Memory of Thomas Merton (Cistercian Studies Series, 3), Spencer 1969.

[8] Cfr. R. MORGHEN, Riforma monastica e spiritualità cluniacense, in Spiritualità cluniacense, Convegni del centro di studi sulla spiritualità medie­vale, II, Todi 1960, 31-56.

[9] Cfr. C. VIOLANTE, Il monachesimo cluniacense di fronte al mondo politico ed ecclesiastico (X e XI secolo), in Ibid. 153-242.

[10] L. J. LEKAI, Motives and Ideals of the Eleventh Century Monastic Renewal, in The Cistercian Spirit: A Symposium in Memory of Thomas Merton (Cistercian Studies Series, 3), Spencer 1969.

[11] Cfr. il recente studio di E. OLIVARES, Les voeux des premiers étu­diants jésuites, in Vie cons. 41 (1969) 233-238.

[12] Cfr. M. PARODI, Le charisme du Père de Clorivière, in Vie cons. 41 (1969) 95-112.

[13] Cfr. J. BEYER, Gli Istituti secolari, in Il rinnovamento della vita religiosa a cura di G. M. R. TILLARD e Y. M. G. CONGAR (trad. it.), Vallecchi, Firenze 1968, 325-333.