SE NON È GENOCIDIO...
di DOM ARMAND VEILLEUX
DOM ARMAND VEILLEUX, ABATE DELL’ABBAZIA CISTERCENSE DI
SCOURMONT, IN BELGIO, È L’AUTORE DI QUESTO ARTICOLO, APPARSO SUL SITO WEB DELLA
RETE CATTOLICA, CON BASE IN CANADA, “CULTURE ET FOI”. TITOLO ORIGINALE: “L’IMMORALITÉ
DE LA COMMUNAUTÉ INTERNATIONALE”
L’assenza quasi totale di reazione della comunità
internazionale davanti ai metodi crudeli e barbari cui sta facendo ricorso in
questi giorni lo Stato d’Israele contro il popolo palestinese è un esempio
flagrante dell’assenza sempre più totale di rispetto per i valori morali o, più
semplicemente, dell’assenza di moralità in seno alla comunità internazionale.
I Paesi dell’Europa e dell’America del Nord si fregiano
della democrazia e hanno iniziato a farne dono al resto del mondo, in
particolare alla parte del pianeta ricca di petrolio, salvo imporre questo
regalo con la voce delle armi, a prezzo di distruzioni massicce delle
infrastrutture materiali, senza contare le enormi perdite in termini di vite
umane.
A partire dal momento in cui l’economia neoliberista si è
imposta come valore fondamentale dei Paesi che si credono sviluppati, dove
tutti gli altri valori sono stati infine a questo sottomessi, praticamente ogni
valore morale è scomparso dalle relazioni fra gli uomini e soprattutto fra i
popoli.
Abbiamo assistito, nel corso degli ultimi anni, a tutta una
serie di movimenti democratici “teleguidati” secondo un metodo messo a punto
dalla Cia e promossi da tutta una serie di organizzazioni che le servono da
copertura o che sono stati creati per fare il suo lavoro, in particolare The
National Endowment for Democracy e le relative numerose filiali, come anche
l’Open Society del miliardario George Soros.
Gli Stati Uniti hanno montato, nel 2000, una massiccia
operazione sul piano diplomatico a mezzo stampa, un’armata di pollsters
(sondaggisti ‘a servizio’, ndr) e decine di milioni di dollari per rovesciare
Slobodan Milosevic in Serbia. Poiché nessuno piange la sua fine, si è
dimenticato che il fine non giustifica i mezzi e si sono chiusi gli occhi sul
fatto che l’intervento massiccio di una potenza straniera nella manipolazione
di un processo elettorale costituiva un pericoloso precedente.
Lo stesso procedimento consente qualche anno dopo di
rovesciare Edouard Shevardnadze in Georgia e di sostiuirlo con Mikhail
Saakashvili, che non ha affatto la statura politica di uno Shevardnadze ma che
ha la qualità di essere più filo-occidentale. Uno sforzo analogo impiegato
dieci mesi più tardi per rovesciare Kustunica in Bielorussia è fallito. Anche
in Ucraina sono stati impiegati tutti i milioni necessari e l'artiglieria
pesante per fare in modo che Yuscenko fosse il vincitore malgrado Kuchma avesse
preso più voti. Le campagne di protesta sono state organizzate appena qualche ora
dopo l'inizio della votazione e i pollsters occidentali davano l'11% in più a
Yuscenko ben prima che si chiudessero i seggi.
Lo stesso metodo ha sprofondato Haiti in un marasma ancora
più tragico di quello che il Paese aveva conosciuto da generazioni ma è fallito
in Venezuela, dove gli esperti americani hanno totalmente trascurato il
sostegno della popolazione venezuelana che, nella sua stragrande maggioranza,
continua ad essere riconoscente ad Hugo Chávez per averla liberata della lunga
teoria di governi corrotti che avevano gettato il popolo nella miseria malgrado
la manna del petrolio.
La lista di queste elezioni "democratiche"
teleguidate dall'esterno non smette d'allungarsi,
senza dimenticare, certamente, l'ultima elezione in Libano.
Quando la nazione palestinese, con una votazione svoltasi
secondo tutte le regole della democrazia e sotto gli occhi di osservatori
stranieri che ne hanno certificato la correttezza, elegge per sé un governo che
non piace ai regimi di Tel Aviv e di Washington, la comunità internazionale
rifiuta di riconoscere l'autorità di questo governo liberamente eletto. Non
solo rifiuta di riconoscerlo, ma sottomette tutta la popolazione palestinese a
sofferenze ancora più grandi di quelle che subisce da più di mezzo secolo.
Concretamente, si tagliano tutti i sussidi (resi necessari da tempo a causa
della distruzione sistematica dell'economia palestinese) e nessuno sembra
trovare anormale che Israele rifiuti di versare al governo palestinese le tasse
riscosse a suo nome e versate dai contribuenti palestinesi: cosa che, secondo
il diritto civile, costituisce un furto puro e semplice.
Prima di riconoscere il governo di Hamas, la comunità
internazionale vorrebbe che questo rinunciasse alla violenza. Bei sentimenti,
senza dubbio! Ma si conosce un altro caso nella storia in cui si è creduto
opportuno domandare ad un popolo occupato militarmente e attaccato militarmente
praticamente tutti i giorni di rinunciare a difendersi? Certo, si può chiedere
ai palestinesi di non attaccare i civili in Israele, ma perché nessuno osa
chiedere anche ad Israele di cessare i suoi assassinii sistematici in
Palestina, che sacrificano ogni volta un numero di civili più grande dei
“sospetti” che intende far fuori con missili lanciati dall’alto in strade
stipate di civili? D’altronde non c’è nessuno nella comunità internazionale che
abbia il coraggio e il senso morale di ricordare ai governi che guidano Israele
e Washington che la tradizione dei Paesi civili vuole che si arrestino e si
giudichino le persone “sospettate” di crimini piuttosto che assassinarle prima
di dimostrare il loro crimine. Evidentemente è impossibile a chiunque biasimare
i dirigenti dello Stato di Israele, quali che siano, anche per il crimine più
evidente contro il diritto internazionale, senza farsi trattare da antisemita;
e, siccome nessuno desidera sentirsi affibbiare questo aggettivo, questo
ricatto continua ad essere efficace anno dopo anno.
Come si può rimproverare ai dirigenti palestinesi di non
controllare i gruppi estremisti che agiscono sul loro territorio o in Israele
quando da decenni si fa di tutto per rendere il territorio palestinese
assolutamente ingovernabile con attacchi e controlli militari incessanti, con
la neutralizzazione delle vie di comunicazione fra le diverse parti del
territorio, e con la distruzione massiccia e ripetuta di tutte le
infrastrutture? Come si poteva rimproverare ad Arafat di non controllare la
violenza in Palestina quando lo si teneva prigioniero nel suo rifugio mezzo
distrutto e senza comunicazioni con l’esterno?
Si chieda pure ad Hamas di riconoscere lo Stato d’Israele;
ma si domandi anche allo Stato d’Israele di smettere di impedire, come fa da
più di mezzo secolo, la costituzione di uno Stato palestinese. Gli si chieda
soprattutto di cessare la sua attività frenetica degli ultimi anni – la
costruzione del muro della vergogna, in particolare – finalizzata a rendere
praticamente impossibile in avvenire la realizzazione di uno Stato palestinese.
È normale che si reagisca al rapimento di un giovane soldato
ebreo, ma è per stanchezza o per abitudine che nessuno fa niente di fronte al
sequestro frequente di centinaia di palestinesi - fra i quali numerosi bambini
- che imputridiscono nelle carceri di Israele? La reazione di estrema violenza
al rapimento del giovane soldato da parte del governo dello Stato di Israele,
che ha punito collettivamente la popolazione di Gaza privandola di elettricità
ed acqua potabile e distruggendo gravemente le infrastrutture (ponti in
particolare) sopravvissute ad attacchi precedenti, costituisce, in termini di
diritto internazionale, un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità.
L’arresto della quasi totalità dei membri del governo palestinese – da poco
eletto democraticamente – è un gesto di follia arrogante reso possibile solo
dalla convinzione dello Stato d’Israele di possedere agli occhi della comunità
internazionale una completa immunità che lo autorizza a tutto, anche a ciò che
viene considerato ‘terrorismo’ e ‘crimine contro l’umanità’ quando è fatto da
altri.
Sono anche deluso dal fatto di vedere che le autorità della
Chiesa cattolica, che hanno versato tanto inchiostro per difendersi da quelle
che percepivano come accuse nell’immaginazione fertile di Dan Brown, l’autore
del Codice da Vinci, ne hanno trovato ben poco per reagire al presente dramma.
Gli inviti a riprendere i negoziati, genericamente indirizzati “a tutte le
parti”, suonano vuoti come gli appelli a “contenersi” rivolti da George Bush a
Israele.
Non mi faccio avvocato di alcuna violenza. Condanno e respingo
tutte le violenze che divorano il Medio Oriente e che riguardano i popoli di
Israele e della Palestina. Ma l’immoralità dei “due pesi, due misure” della
comunità internazionale mi scandalizza e mi addolora. Continuo a rifiutare la
parola “terrorismo”, il cui uso attuale è macchiato da una tremenda ipocrisia.
Perché l’esplosione delle bombe umane in Israele sarebbe atto di terrorismo, e
il lancio di bombe inumane sulla Palestina dall'alto no? Perché gli attacchi
contro i soldati della sedicente “coalizione” in Afghanistan o in Iraq
sarebbero terrorismo e la sorte inumana e illegale riservata alle vittime del
carcere abietto di Guantánamo no?
In un precedente articolo ho utilizzato l’espressione
“genocidio palestinese” che ha suscitato la sorpresa, lo scandalo e la collera
di certuni. Conosco le definizioni – peraltro molto ampie e imprecise – di
“genocidio” date da diversi documenti delle Nazioni Unite. Ma resta il fatto
che la parola genocidio vuol dire etimologicamente l’atto o il tentativo di
provocare la morte di una nazione (génos). Se il fatto di impedire
sistematicamente, per più di mezzo secolo, ad un popolo di costituirsi in
nazione e di avere un proprio Paese, il fatto di mantenere questo popolo –
privato della maggior parte del suo territorio – in campi di rifugiati, dove
regna una povertà abietta, e di sottometterlo ad umiliazioni costanti e
sistematiche, a un’occupazione civile e militare e ad ogni sorta di abuso non
può chiamarsi “genocidio”, che i linguisti mi inventino un neologismo, perché
non esiste nessun’altra parola di nessuna lingua moderna per descrivere una
tale situazione.
Armand Veilleux