Le strutture al servizio della vita

di Dom Armand Veilleux

 

 

Proemio: Questo studio è stato redatto in risposta alla richiesta della Conferenza regionale CNE (Centro e Nord Europa) durante dal riunione del 2006 e in vista della riunione del 2007. Questa domanda è stata formulata nei voti seguenti:

 

Sentiamo il bisogno di chiarire maggiormente il ruolo pastorale delle commissioni miste e le sue modalità di esercizio (voto 1,1). Desideriamo studiare questa questione in modo più approfondito al momento della prossima conferenza regionale, nel contesto generale delle strutture dell’Ordine (voto 1.2).

 

Auspichiamo continuare la nostra riflessione sulle strutture dell’Ordine, in particolare sulle strutture recenti (Commissioni di aiuto, Commissioni miste, regioni) e le loro relazioni con le strutture tradizionali (filiazione, Padre Immediato, Abate Generale) (voto 4).

 

                Sono stato designato io per redigere i documenti di lavoro richiesti dai voti 1.2 e 4. Ho creduto bene di trattarli insieme in un solo studio. –AV

 

*     *     *

 

            Secondo il Concilio Vaticano II, le nostre Costituzioni, rovesciando la visione piramidale dell’ecclesiologia dei secoli precedenti, molto evidente nelle nostre Costituzioni del 1924-1926,   partono non dalle strutture amministrative, ma dalla chiamata di Dio e dalla risposta del monaco o della monaca nella sua consacrazione monastica. Infatti ciò che si trova al cuore dell’Ordine è la comunità locale, al cuore della comunità locale si trova il monaco o la monaca e, al cuore del monaco o della monaca si trova Cristo. Nella nostra vita tutto ha senso solo nella misura in cui ciò favorisce un’intensa comunione tra il monaco o la monaca e Dio e, in Dio e per Dio, con i propri fratelli e sorelle, con la Chiesa e la Società, come anche con il cosmo.

            Questa chiamata ad una vita di comunione con Dio è inscritta nella natura umana. Non è propria solo del cristiano e ancor meno del monaco o della monaca. Il cristiano ha ricevuto la chiamata e la missione attraverso il Vangelo di Gesù Cristo. Una volta ricevuta questa rivelazione, il suo ritorno a Dio può avvenire solo camminando alla sequela di Cristo. In questo cammino il monaco adotta come condizione permanente di vita alcune chiamate radicali fatte da Gesù ad alcune persone nel Vangelo: la chiamata al celibato, alla povertà e alla rinuncia radicale alla propria volontà. Soprattutto il monaco adotta una regola di vita che gli serve come disciplina e il cui uso sperimentato da molti altri prima di lui, ha manifestato la sua capacità di favorire il dono di sé. Infine, se è cenobita come lo è il discepolo di Benedetto, vive questo in una comunità di fratelli che si sono impegnati sotto una regola ed un abate.

            Per il Cistercense d’oggi, la visione spirituale che lo guida nella sua vita di comunione con Dio e nel suo cammino alla sequela di Cristo, si trova nel Vangelo. Egli trova in tutta la grande tradizione monastica, ma più particolarmente nella Regola di S. Benedetto, un’interpretazione pratica di questo Vangelo. La visione propria secondo cui egli vive il Vangelo si trova espressa nella tradizione cistercense come è espressa sinteticamente oggi nella Dichiarazione sulla Vita cistercense, del Capitolo del 1969[1] e in seguito nelle Costituzioni dell’Ordine e in tutti gli statuti che l’Ordine si è dato successivamente.

            In questo studio passeremo in rassegna anzitutto le diverse Strutture dell’Ordine, descrivendo rapidamente la loro ragion d’essere e il loro ruolo, poi, nella seconda parte, analizzeremo la loro interazione. Una terza parte, sotto forma di un Excursus, studierà il ruolo pastorale delle Commissioni Miste della RGM (Riunione Generale Mista).

 

I – LE DIVERSE STRUTTURE DELL’ORDINE

 

         A) Autonomia della Comunità locale

 

            I monaci cistercensi sono essenzialmente dei cenobiti. La struttura più fondamentale della vita cistercense è dunque la “comunità locale” [2]. Per “comunità locale” bisogna intendere non solo il gruppo di fratelli o di sorelle che formano concretamente ogni comunità locale, ma la regola di vita attorno a cui questa comunità è riunita e che essa si è data o ha accettato, come anche le strutture interne che dirigono la vita di questa comunità. E’ quanto la nostre Costituzioni chiamano spesso conversatio cistercense.

 

 I monaci cistercensi vivono secondo la Regola di S. Benedetto. Questa Regola è stata scritta in modo evidente per una comunità autonoma. Anche se Benedetto da Norcia potrebbe aver fondato un certo numero di comunità – se si crede nel secondo libro del trattato di esegesi biblica di S. Gregorio chiamato i suoi “Dialoghi” - e anche se S. Benedetto ha certamente previsto che la sua Regola avrebbe potuto essere utilizzata da altre comunità, egli non ha previsto nessuna relazione di dipendenza o altra, tra queste comunità. L’autonomia di ogni comunità locale per lui è un valore essenziale e ovvio. Questa comunità, in quanto cellula della comunità ecclesiale più vasta, è evidentemente sottomessa, a quel tempo, al vescovo diocesano, benché non si veda tuttavia l’opportunità di intervento da parte sua, se non per ordinare i monaci o fornire i sacerdoti necessari alla vita liturgica della comunità. Il vescovo può ancora intervenire, con i fedeli della regione, se una comunità, nell’intento di perseguire una vita comunitaria riprovevole, si scegliesse un abate indegno.

 

Nel corso della storia benedettina, la grande riforma di Cluny, per quanto bella fosse, giunse rapidamente a un punto morto proprio perché, nello scopo di trasmettere a numerose comunità la libertas  civile ed ecclesiastica riconquistata dall’abbazia di Cluny, sacrificò l’autonomia della comunità locale, privandola del suo dinamismo vitale e della sua creatività.

 

L’autonomia della comunità locale fu uno degli elementi più essenziali della riforma cistercense, e l’espansione rapida ed incredibile dell’Ordine è stata dovuta in grandissima parte all’equilibrio molto delicato che i Cistercensi hanno scoperto per primi, tra l’autonomia della comunità locale e un grande corpo di monasteri uniti tra di loro dai vincoli della carità e concepito come una comunità di comunità[3]. I secoli della decadenza corrisposero, in generale, a quelli in cui quest’autonomia non fu rispettata, come d’altra parte le grandi riforme sono partite invece sempre da una comunità concreta che si riformò prima di tutto in piena autonomia, prima di far comunicare liberamente la propria esperienza spirituale ad altre comunità. Uno dei più begli esempi è quello di La Trappe e della sua Riforma sotto Armand-Jean Le Bouthillier de Rancé.

            Nelle nostre Costituzioni attuali, la Comunità locale ha tutto ciò che le è necessario per gestirsi, senza alcun bisogno d’intervento esterno nella vita interna della comunità. Ogni monaco o monaca trova il suo orientamento spirituale nella Parola di Dio, che medita ogni giorno, nella Regola di S. benedetto, come anche nella vita e nell’insegnamento della Chiesa. Tutto ciò le viene ricordato e commentato dall’Abate nei suoi capitoli. Secondo i regolamenti che si è data questa comunità, comuni a tutte le altre Comunità dell’Ordine – vedremo più in là come – essa ha tutto ciò di cui ha bisogno per funzionare.

            L’abate ha come missione primaria di vegliare sulla qualità di vita spirituale di ogni fratello della comunità che essi formano. Lo fa alla maniera dei profeti dell’A.T., ricordando loro il primato della ricerca di Dio, come anche i mezzi che essi hanno liberamente scelto per arrivarci e, all’occorrenza, ricordando le loro colpe e, in certi casi, usando le punizioni. Ogni volta che la comunità si ritrova senza Superiore, sia a motivo della sua morte che delle sue dimissioni, o sia semplicemente perché è arrivato al termine del suo mandato, nel caso fosse eletto a tempo determinato – la comunità allora agisce come collegio e in piena autonomia si sceglie un Abate. Per il fatto dell’appartenenza della comunità ad un Ordine, quest’esercizio di autonomia sarà presieduto da un membro dell’Ordine (normalmente il Padre Immediato), che non appartiene affatto al collegio elettorale e che non ha il diritto di influenzare la sua decisione, ma che si fa garante della buon andamento. Quest’elezione verrà confermata, a nome dell’Ordine, dall’Abate Generale, senza che costui intervenga più nella scelta autonoma del Superiore della comunità [4].Se per diverse ragioni la comunità è incapace di eleggere il suo abate, allora, come misura del tutto eccezionale, le viene nominato un superiore detto ad nutum, che, una volta nominato, ha la stessa responsabilità di un superiore eletto, e la comunità non ha perduto nulla della sua autonomia [5].

            Eleggendo un Abate, la comunità gli affida l’incarico di guidarla e dunque di prendere tutte le decisioni richieste per il buon andamento sia spirituale che materiale. Anche in seno alla vita monastica sono possibili forme di governo di carattere più collegiale – alcuni direbbero più democratica – ma non è la nostra conversatio. Secondo la conversatio cistercense che scegliamo liberamente facendo professione in una comunità del nostro Ordine, l’Abate deve assumere l’ultima responsabilità di tutte le decisioni prese in seno alla comunità durante il suo mandato. Il capitolo conventuale non ha alcun potere di “decisione”, tranne quando agisce collegialmente per eleggere l’abate. Ciò non significa che l’abate debba o possa agire dispoticamente; al contrario, egli viene invitato dalla Regola e dalla Costituzioni, come anche dal buon senso, a chiedere consiglio il più spesso possibile. Poiché l’esperienza dei secoli ha dimostrato le possibilità di slittamento e per proteggere la comunità contro gli abusi e gli errori possibili dei superiori, le Costituzioni ( seguendo il Diritto universale della Chiesa) prevedono una serie di decisioni che l’abate locale non può prendere senza l’accordo sia del capitolo conventuale, sia di un consiglio più ristretto (che è tenuto ad avere), talvolta alla maggioranza assoluta, talvolta a quella dei due terzi. C’è un certo numero di altre decisioni che non può prendere validamente senza aver

 

 

almeno consultato sia il capitolo conventuale, sia il consiglio. Tuttavia, anche se ci sono decisioni che non può prendere senza previo consenso del Capitolo conventuale o del suo consiglio, o, in altri casi, senza consultare l’uno e l’altro, nessuna autorità esterna alla comunità può prendere decisioni in sua vece.

            In istituti religiosi più recenti e giuridicamente centralizzati, può capitare che il maestro o la maestra dei novizie(e), oppure l’economo vengano nominati dall’autorità provinciale e non siano sottomessi nell’esercizio delle loro funzioni, all’autorità del Superiore della comunità in cui vivono. Nella nostra tradizione questo è inconcepibile. Anche se conviene che l’Abate lasci al maestro dei novizie o al cellerario, oppure anche all’infermiere, ecc. una grande libertà di azione e dia loro una grandissima fiducia, è sempre lui, in definitiva, che dovrà assumere il peso di tutte le decisioni più importanti.

            Come abbiamo detto sopra, le comunità cistercensi sono riunite in un Ordine. Facendo parte di questa grande Comunità di comunità che è l’Ordine, le comunità locali non rinunciano alla loro propria autonomia, ma si impegnano ad esercitarla secondo le norme comuni che si danno al momento delle riunioni del Capitolo Generale, o che ricevono dalla Chiesa sia attraverso le Costituzioni ( che ci sono state “date” dalla Santa Sede, anche se le abbiamo redatte noi) sia attraverso leggi o regolamenti di carattere più universale [6].

            L’unica autorità al di sopra della comunità locale, nell’Ordine, è il capitolo Generale. Questi può evidentemente agire talvolta attraverso persone individuali a cui affida dei compiti; queste persone agiscono, allora, non con un’autorità personale, ma in virtù di un’autorità delegata.

            Se le nostre Costituzioni danno ai membri dell’Ordine il diritto di ricorso (al Padre Immediato, all’Abate Generale, al Capitolo Generale), questo diritto di ricorso non è affatto un diritto di appello. La persona (fisica o morale) a cui vien fatto ricorso, deve intervenire pastoralmente, ascoltare le diverse parti e orientare verso le buone decisioni, ma non può sostituirsi né alla Comunità locale né all’Abate locale.

            D’altro canto questa natura dell’Ordine fa che i Superiori di tutte le comunità dell’Ordine abbiano una responsabilità collegiale nei confronti di tutto l’Ordine e di ogni comunità. La esercitano attraverso diverse strutture antiche o recenti che possono essere veramente efficaci solo nella misura in cui rispettano e promuovono l’autonomia della comunità locale.

            E’ dunque importante chiarire la relazione del capitolo Generale con le comunità locali, prima di poter studiare più dettagliatamente il ruolo di tutte le altre strutture intermediarie o accessorie, permanenti o provvisorie e soprattutto le loro interazioni.

 

B) L’autorità del capitolo Generale – sua estensione e suoi limiti

 

            Le nostre Costituzioni dicono che il capitolo Generale è l’autorità “suprema” nell’Ordine (C.77,1). Ciò significa che nell’Ordine non c’è nessun’altra autorità al di sopra del Capitolo Generale. E poiché il Capitolo Generale è un “collegio” in senso stretto (v. CIC 115,2) nemmeno un capitolare, all’interno del collegio, ha autorità, propriamente parlando, sugli altri Capitolari. Il presidente di un collegio è un primus inter pares, avendo la responsabilità della convocazione e del buon funzionamento della riunione. Il Capitolo d’altronde si dà un regolamento per assicurare il suo buon andamento e può, dunque, evidentemente, dare a diverse persone una certa autorità sul funzionamento del Capitolo, ma mai sul contenuto delle decisioni, che devono sempre rimanere collegiali.

            Una concezione abbastanza diffusa, anche se raramente viene espressa in maniera esplicita, è che il potere del Capitolo Generale, essendo “supremo”, sia anche “assoluto”: è un grave errore. Il Capitolo Generale non può prendere validamente alcuna decisione se non nelle materie su cui le Costituzioni dell’Ordine o il diritto universale della Chiesa gli conferiscono esplicitamente

un’autorità. Ogni decisione in un campo non previsto dal Diritto o oltre i limiti previsti dal Diritto può o anzi deve essere considerato come invalido.

            L’autorità o la competenza del Capitolo Generale è descritta nella C. 79. Il Capitolo Generale non ha altro potere da quello concessogli in queste Costituzioni e negli Statuti, tranne quello che potrebbe concedergli il Diritto comune della Chiesa.

 

C) La filiazione e il servizio di Padre Immediato

 

            Dal momento in cui le prime case figlie di Cîteaux, nel 12° secolo, cominciarono a fare fondazioni, si organizzò nell’Ordine un sistema di filiazione che, con il Capitolo Generale, è la struttura più antica e più fondamentale dell’Ordine. Ogni Casa è legata ad un’altra Casa dell’Ordine – normalmente la sua Casa fondatrice, se esiste sempre – che è la sua Casa-madre e il cui Superiore è chiamato Padre Immediato.

            In questo la situazione delle monache è un po’ diversa da quella dei monaci. La storia dell’accettazione delle monache nell’Ordine è complessa e non è il caso di farla o anche solo di riassumerla qui. Basti dire che per vari secoli il legame delle monache con l’Ordine avveniva attraverso il collegamento di ogni monastero di monache con  un monastero di monaci, il cui Superiore diventava il Padre Immediato delle monache. Giuridicamente, ai nostri giorni, il ruolo del Padre Immediato di un monastero di monache è lo stesso di quello del Padre Immediato di un monastero di monaci, anche se, nella pratica, viene vissuto spesso in modo abbastanza diverso. D’altronde, anche in seno alle filiazioni maschili questa relazione è pure vissuta in molteplici modi.

            Si è parlato a varie riprese, nell’Ordine, di stabilire un sistema di filiazione in seno al ramo femminile, parallela a quello del ramo maschile. La questione è stata esplicitamente sollevata al momento della redazione delle Costituzioni e di nuovo, recentemente, nel contesto dell’eventualità di un Capitolo Generale unico per monaci e monache. Questa proposta non ha suscitato molto entusiasmo finora, tra le monache non più che tra i monaci.

            Quando un monastero di monache acquisisce la sua autonomia, cessa di avere qualsiasi legame giuridico con la Casa Fondatrice, ma con ciò non vuol dire che siano spezzati tutti i legami tra la Casa-figlia e la Casa  che le ha dato la vita. In generale viene mantenuto uno spirito comune tra la madre e la figlia (tranne in alcuni casi in cui la seconda è stata fondata un po’ in reazione alla prima) e questo spirito viene nutrito da contatti frequenti e da servizi di ogni genere, soprattutto quando uno stesso monastero ha parecchie fondazioni.

            I legami di filiazione sono essenzialmente legami tra Case. (Perciò non avrebbe alcun senso per una comunità cambiare Casa-madre semplicemente a motivo delle relazioni difficili col Padre Immediato del momento. Ne   deriva una conseguenza concernente la natura stessa del ruolo del padre Immediato, che rende molto problematica, dal punto di vista giuridico, ogni delegazione di questo ruolo. Non esiste infatti un “ufficio”(officium) di Padre Immediato che potrebbe venir delegato. Il ruolo di Padre Immediato di un abate nei confronti delle Case-figlie della sua comunità è una dimensione del suo incarico di abate. Anche quando egli delega ad un altro l’incarico di seguire pastoralmente una delle sue Case–figlie, ne rimane, strettamente parlando, il “Padre Immediato”, perché questa è una dimensione essenziale della sua responsabilità di Superiore della sua propria comunità. L’espressione “Padre Immediato delegato” è dunque un modo molto largo di parlare, senza valore giuridico vero e proprio. E come un’autorità delegata può essere sotto-delegata solo ad actum, non si può certamente parlare di “Padre Immediato sotto-delegato”. Tutt’al più si può dire che tale Superiore pone tale atto (come fare una Visita Regolare o presiedere un’elezione) in quanto delegato “per quell’atto” del Padre Immediato delegato”.

            Nel nostro Ordine non ci sono Superiori Vicari. Se ne è contemplata la possibilità, nel Capitolo Generale del 2002 (come sostituzione dei superiori ad nutum), ma l’idea non è stata accettata. Perché uno possa essere designato come Vicario, sarebbe necessario anzitutto introdurre nel nostro Diritto la funzione di Vicario, che non vi si trova. Allora uno potrebbe essere nominato per questa funzione. Nello stato attuale del nostro Diritto quelli che si chiamano “Vicari” non sono in senso rigoroso Vicari  di diritto, ma persone a cui è stata delegata una certa autorità.

            Come ho detto all’inizio di questo studio, l’unica “autorità”, in senso stretto, al di sopra della comunità locale, nel Diritto cistercense, è il Capitolo Generale. Il Padre Immediato non è dunque il “Superiore” delle sue case-figlie; non può quindi dare ordini né permessi ai membri delle sue case-figlie, né ai loro Superiori. Ciò non significa che il suo ruolo, la cui natura è tutta pastorale, non sia di una grandissima importanza. Egli esercita questa sollecitudine pastorale a nome di tutto l’Ordine, e questo è un esercizio della responsabilità collegiale che tutti i Superiori dell’Ordine, monaci e monache, hanno nei confronti dell’insieme dei monasteri dell’Ordine.

            Il suo ruolo, che è un ruolo di “vigilanza” (nel senso più positivo del termine) è espresso molto bene nella Costituzione 74,1:

 

Il Padre Immediato vegli sul progresso delle case figlie. Rispettando l’autonomia di ogni casa, il Padre Immediato aiuti e sostenga l’abate nell’esercizio del suo servizio pastorale, e favorisca la concordia nella comunità, se dovesse constatare l’inosservanza di certe prescrizioni della Regola o dell’Ordine, dopo aver consultato l’abate del luogo, cerchi di correggere la situazione con umiltà e carità.

 

Se l’ultima frase di questo testo dà implicitamente al Padre Immediato il potere di correggere le deviazioni relative alle prescrizioni della Regola o dell’Ordine”, questa Costituzione non gli conferisce alcuna autorità per intervenire altrimenti ex auctoritate nella vita interna della comunità. D’altronde la stessa Costituzione gli apre un campo estremamente esteso di sollecitudine pastorale, che dev’essere esercitata in modo costante e non solo in occasione della Visita regolare.

 

D) Visita Regolare

 

            La Visita Regolare viene menzionata dalla C 71,4, con la filiazione, come una delle istituzioni attraverso le quali si esercita, nel nostro Ordine, la sollecitudine pastorale collegiale di tutti i Superiori sull’insieme dei monasteri dell’Ordine.

            Secondo la tradizione dell’Ordine, la Visita Regolare è una dimensione dell’esercizio della sollecitudine pastorale di un Superiore nei riguardi delle case figlie della sua comunità. Nei monasteri di monaci, la Visita Regolare è normalmente fatta dal Padre Immediato, anche se questi può talvolta delegarla. Non è mai obbligato a delegare. Nei casi di monache, la situazione è diversa. Per il fatto di essere state a lungo sottratte all’autorità del Capitolo Generale, per essere poste sotto quella dei vescovi, hanno poi avuto per moltissimo tempo come Visitatore il Padre Generale. Evidentemente, l’Abate Generale delegava quasi sempre un altro Abate per fare la Visita, in generale dopo aver consultato la Badessa del monastero da visitare. Da alcuni anni, la responsabilità della Visita è stata restituita al Padre Immediato, ma le monache hanno messo nelle loro Costituzioni (C. 75,1) che il Padre Immediato deve delegare un’altra persona almeno ogni sei anni (il che non equivale a una Visita su tre, perché  se le Visite devono essere fatte almeno una volta ogni due anni, possono essere fatte più di frequente e si può pensare che, in circostanze speciali, possano esserci quattro o cinque Visite – e non solo tre – nello spazio di sei anni).

            Le Costituzioni danno anche all’Abate Generale il potere di fare le Visite sia nei monasteri di monaci che delle monache, anche se è stata fatta da poco dal Padre Immediato – senza togliere per questo, teoricamente almeno, il diritto al Padre Immediato di fare la sua Visita alla stessa epoca! Anche se ciò potrebbe, in astratto, portare ad una certa “competizione” tra il Padre Generale e un Padre Immediato, sembra che questo non si sia mai verificato, perché tutti cercano il bene delle comunità.

            Non più del Padre Immediato, il Visitatore, in quanto Visitatore, non è il “Superiore” canonico della casa visitata. Il Superiore locale conserva tutta la sua autorità di superiore nel corso della Visita[7], è chiamato ovviamente ad agire in una stretta collaborazione con il Visitatore per il

 

bene della sua Comunità[8]. Come abbiamo visto sopra per il Padre Immediato, il Visitatore può correggere situazioni che richiedono correzione, ma non può intervenire ex autoritate nel cammino della comunità[9]. Ciò non toglie che il campo affidato alla sua vigilanza e alla sua sollecitudine pastorale, come è descritto nella Costituzione 75.2 e più dettagliatamente nello Statuto sulla Visita regolare, sia immenso. Così recita la Costituzione 75,2:

 

Scopo della Visita Regolare è quello di rafforzare e completare, e, se necessario, correggere l’azione pastorale dell’abate del luogo e di stimolare le sorelle a perseverare nella vita cistercense con rinnovata vigilanza interiore. Questo esige la partecipazione attiva della comunità. Il Visitatore osservi fedelmente le prescrizioni del Diritto, lo spirito della Carta Caritatis e le norme del capitolo Generale.

 

E) L’Abate Generale[10]

 

            Lungo tutta la storia di Cîteaux, prima della scissione dell’Ordine in Osservanze, il ruolo dell’abate di Cîteaux è stato molto importante come autorità morale, molto più che come autorità giuridica. Egli presiedeva i Capitoli Generali, ma non aveva alcuna facoltà di intervento nelle comunità dell’Ordine, al di fuori del suo ruolo di Visitatore nelle sue case figlie.

            Al momento del Capitolo Generale di Unione delle Congregazioni sorte dalla Trappe nel 1892, il nostro Ordine ha scelto di darsi un Abate Generale. Il ruolo di questi  - sia nelle nostre Costituzioni attuali come anche nelle Costituzioni anteriori – è essenzialmente di lavorare a mantenere e a sviluppare la comunione tra le comunità e anche tra i due rami dell’Ordine, soprattutto da quando siamo divenuti esplicitamente un solo Ordine con due Capitoli Generali distinti. Questo stesso ruolo rimarrà evidentemente altrettanto importante quando avremo un Capitolo Generale comune.

            L’autorità morale dell’Abate Generale è molto grande, e si manifesta in maniera diversa secondo la personalità di ogni Abate Generale. La vastità del campo d’azione della sua sollecitudine pastorale è ben descritta nella C. 82,1:

 

            L’Abate Generale, quale vincolo dell’unità dell’Ordine, promuova le relazioni fra le comunità tanto di monaci che di monache. Vigili al mantenimento e provveda allo sviluppo del patrimonio dell’Ordine. Si mostri in primo luogo pastore e promotore del rinnovamento spirituale delle comunità. Visiti i monasteri nella misura che riterrà più conveniente per conoscere la situazione di tutto l’Ordine: potrà così offrire un aiuto prezioso ai singoli superiori e alle comunità.

 

            Come diceva Dom Gabriele Sortais al Capitolo Generale del 1951, in cui fu eletto, questa sollecitudine pastorale può essere tanto meglio esercitata in quanto l’autorità giuridica dell’Abate Generale è molto limitata[11]. Essa non ha nulla in comune,  a questo livello, con quella dei Superiori Generali delle Congregazioni religiose centralizzate. Egli non può intervenire nell’amministrazione interna delle comunità autonome e non è la persona a cui i monaci e le monache possano rivolgersi per avere dei permessi che il proprio Superiore avrebbe rifiutato. Nel corso delle Visite regolari che fa, la sua autorità è uguale a quella degli altri Visitatori, come è descritta nelle Costituzioni e nello Statuto della Visita Regolare.

            D’altronde la figura dell’Abate Generale nel diritto attuale comprende un buon numero di altre responsabilità pastorali. Poiché il Diritto canonico non ha sezioni per gli Ordini monastici, questi devono inserirsi bene o male nelle strutture previste in generale per le Congregazioni centralizzate. E anche se il nostro Ordine ha accuratamente evitato, nelle sue Costituzioni, di

dichiararsi “Ordine Clericale”, è stato aggiunto alla C. 82,3 un breve numero essenzialmente per evitare la dipendenza riguardo ai vescovi, dove si dice che “L’Abate Generale è considerato giuridicamente (iure intellegitur) come un Moderatore supremo di un istituto clericale di Diritto pontificio secondo le norme delle Costituzioni[12]. Ciò significa che non ha necessariamente tutti i poteri e i diritti che il Diritto comune può concedere ai “Superiori Generali”, ma quelli che sono menzionati nelle nostre Costituzioni. Così, solo per dare un esempio, può concedere un indulto di esclaustrazione.

            Poiché i Capitoli Generali non si tengono più tutti gli anni e che la vita deve, malgrado tutto, continuare, le Costituzioni prevedono che l’Abate Generale, sia dopo aver ricevuto l’accordo del suo Consiglio, sia dopo averlo consultato, possa concedere un certo numero di autorizzazioni, anche se, di per sé, dipenderebbero dal Capitolo Generale. Sono enumerate negli Statuti 84.1C e 1D.

            E’ l’Abate Generale che convoca il Capitolo Generale e lo presiede, pur tenendo conto che il Capitolo è un collegio e che funziona in modo collegiale. Capita che il Capitolo Generale gli affidi compiti che allora esercita in quanto delegato del Capitolo Generale. Poiché  il Capitolo Generale è l’unica autorità legislativa nell’Ordine, l’Abate Generale non può emettere leggi, cioè non potrebbe stabilire regole riguardanti tutti i monasteri o tutti i membri delle comunità; tuttavia, se si imponessero delle misure a loro riguardo, egli può prendere misure temporanee (non dunque irreversibili) che il successivo Capitolo dovrà ratificare o no.

            Al momento del Capitolo del 1892 la Santa Sede ha insistito perché l’Abate Generale avesse un Consiglio, non volendo che nessuna autorità nella Chiesa agisse in modo totalmente autonomo, senza l’assistenza di consiglieri. Questo Consiglio non è in verità una Struttura dell’Ordine, ma semplicemente ciò che dice il suo nome: il Consiglio dell’Abate Generale. Questo Consiglio non ha nessuna autorità in se stesso. Il suo ruolo è di assistere l’Abate Generale. Costui deve non solo chiedere ai suoi Consiglieri o Consigliere il loro accordo o il loro parere sulle questioni previste dalle Costituzioni, ma può farsi aiutare da loro nell’esercizio di tutti gli aspetti della sua responsabilità pastorale. Può, ad es. delegarli per fare delle Visite Regolari in sua vece.

            Nel capitolo del 1993 era stata avanzata l’idea della possibilità di avere un numero ristretto di consiglieri detti “permanenti” a Roma e di avere, parallelamente, un numero maggiore di consiglieri  normalmente in seno alle loro rispettive comunità, ma suscettibili di essere convocati a Roma qualche volta durante l’anno. Questa proposta non fu accettata dal Capitolo Generale, ma ammise un’altra proposta che dava all’Abate Generale la possibilità di “consiglieri speciali” in circostanze precise[13]. Questa possibilità fu utilizzata a varie riprese nel corso di questi ultimi anni.

 

F) La Commissione Centrale [14]

 

            La Commissione Centrale ha avuto un’esistenza complessa e molto interessante. Dopo averla creata per preparare il capitolo Generale, l’Ordine la trasformò per un certo tempo in consiglio dell’Abate generale, chiamandola “consiglio principale”, inventando allora il nome di “consiglio permanente” per designare i consiglieri residenti a Roma e che venivano chiamati fino a quel momento “Definitori”. Quest’esperienza fu ben lungi dal verificarsi concludente. Ci fu pure nell’Ordine, all’epoca in cui si rivedevano le strutture dell’Ordine per le nuove Costituzioni, una corrente che avrebbe voluto fare di questa Commissione Centrale (chiamata allora Consilium generale) una specie di mini-capitolo tra i Capitoli plenari, avente veri poteri. Quest’idea non incontrò mai un grande interesse. Si tornò dunque, nelle nostre attuali Costituzioni, a dare alla Commissione Centrale il semplice ruolo di preparare il Capitolo Generale seguente. Nel timore di una specie di dominio delle regioni sulla Commissione Centrale, il Capitolo ci tenne sempre – fino ad oggi – a riservarsi il diritto di eleggere i membri delle Commissioni Centrali, come anche dei supplenti, anche se ciò vien fatto sulla presentazione di nomi  da parte delle Regioni. Anche se la rappresentanza di tutte le Regioni è importante, la Commissione Centrale rimane veramente una Commissione eletta dal Capitolo Generale per la preparazione del capitolo Generale seguente. Perciò se una regione propone al voto del Capitolo il suo Presidente di Regione come candidato per la Commissione Centrale e costui viene eletto dal Capitolo, rimarrà il rappresentante della Regione nella Commissione Centrale, anche se nel frattempo è stato sostituito come Presidente.

Le Commissioni Centrali, quando sono riunite, possono anche agire come Consiglio plenario” dell’Abate Generale. Questo ruolo della Commissione Centrale, enunciato da uno Statuto (St 80.J) è del tutto secondario rispetto alla sua ragion d’essere, descritta nella Costituzione 80,  che consiste essenzialmente nel preparare il Capitolo Generale. Ci torneremo su nella seconda parte di questo studio.

 

G) Le Regioni[15]

 

Le Regioni sono divenute una struttura importante dell’Ordine, anche se per tanto tempo si è accettata la loro esistenza sottolineando che non erano una “Struttura” dell’Ordine. Sono iniziate come riunioni libere, informali e spontanee di superiori(e) nelle diverse parti dell’Ordine, dapprima tollerate, poi sempre più incoraggiate.

            Per molto tempo nessun superiore era obbligato a partecipare  ad una Conferenza regionale. Al momento della redazione definitiva delle Costituzioni ,alla prima RGM, a Roma nel 1987, si constatò che, di fatto, tutte le Comunità appartenevano ad una regione. Si disse, dunque, nella C. 81 che:

 

Le Comunità dell’Ordine si uniscono in regioni approvate dal Capitolo Generale. Tali conferenze regionali favoriscono la comunione e la collaborazione fraterna nelle singole aree geografiche e in tutto l’Ordine.

 

Bisogna ormai distinguere tra “regioni” e conferenze regionali”. A partire dalle riunioni dei Superiori, si è arrivati alla nascita delle “regioni” composte non da Superiori, ma da Comunità. Queste regioni sono realtà permanenti. Con la frequenza di una volta all’anno o ogni tre anni, secondo le situazioni geografiche, esse tengono delle riunioni chiamate “conferenze regionali”, che sono, in generale, riunioni di Superiori della regione, con la partecipazione di delegati non-superiori delle comunità, nelle proporzioni numeriche che variano da una regione all’altra. Poiché l’Ordine non ha mai deliberato sul funzionamento delle Regioni, queste hanno potuto svilupparsi in un modo libero, molto diverso da una regione all’altra.

            Le conferenze regionali sono anzitutto luoghi di scambio pastorale e di aiuto reciproco in seno alla regione. Si è percepito presto che erano anche, soprattutto attraverso i loro resoconti mandati a tutte le Case dell’Ordine, un mezzo di dialogo e di comunione tra monaci e monache di tutti i paesi e di tutte le culture (vedi St 81.C).

            Le Regioni sono nate un po’ prima della Commissione Centrale, ma poiché la costituzione di questa Commissione Centrale fu legata in partenza ad una rappresentanza regionale dei membri, l’esistenza di queste due strutture è stata sempre strettamente legata. Certuni – lo so – pensano che è giunto il tempo di rivedere questa struttura di rappresentanza.[16]

            La nascita delle Regioni è coincisa pure con il periodo in cui si lavorava intensamente ai vari progetti delle nuove Costituzioni. Le regioni ebbero dunque un ruolo molto importante nell’elaborazione di queste Costituzioni e, in questo modo, nello sviluppo, in seno all’Ordine, di una certa visione comune del nostro carisma. Oggi ancora la Commissione Centrale prepara il Capitolo Generale successivo a partire dal lavoro delle Regioni.

            Infine potrei menzionare – ma senza elaborare, perché non si tratta di strutture dell’Ordine – l’esistenza delle sotto-regioni e di altre riunioni informali di superiori (talvolta con i Cistercensi OC e i OSB).

 

H) Commissioni diverse

 

            Non parliamo qui di Commissioni del Capitolo Generale, che fanno parte dell’entità del Capitolo e che, in quanto Commissioni, cessano di esistere nel momento in cui termina il Capitolo; si tratta piuttosto di Commissioni che hanno un’esistenza permanente, al servizio delle altre strutture e delle persone dell’Ordine.

 

a) Potremmo menzionare la Commissione di Diritto, il cui Statuto è stato rivisto dal Capitolo Generale del 1993 e il cui mandato, come è descritto nel suo Statuto, è di “assistere gli organi responsabili dell’Ordine, i superiori locali e gli altri membri dell’Ordine in quanto concerne il Diritto”.

            E’ forse importante segnalare che ad ogni Capitolo Generale c’è, secondo la procedura stabilita, una Commissione di Diritto del Capitolo. Essa è composta dai membri della Commissione di Diritto dell’Ordine presenti in Capitolo, a cui possono essere aggiunte, secondo i bisogni, altre persone. Non si tiene forse abbastanza presente che, anche se questa Commissione di Diritto del Capitolo è composta dagli stessi membri della Commissione di Diritto dell’Ordine, si tratta di un’entità distinta.

 

b) C’è pure nell’Ordine una Commissione delle finanze, che ha il compito di gestire il capitale (relativamente ristretto) dell’Ordine e di utilizzarlo per aiutare le comunità che ne hanno bisogno[17]. Essa è nominata dall’Abate Generale.

Parallelamente a questa Commissione delle finanze, il Capitolo Generale del 2002 ha istituito una Commissione che ha il compito di analizzare i bisogni e le richieste delle Comunità dell’Ordine[18]. Poiché si decise nella stessa RGM di creare una cassa di aiuto in seno all’Ordine, si affidò la gestione di questa cassa e la ripartizione degli aiuti provenienti da tale cassa, alla stessa Commissione[19].

 

c) Ci fu per molto tempo nell’Ordine una Commissione di Liturgia. Fu molto attiva durante tutto l’avviamento della riforma liturgica postconciliare. I suoi membri erano eletti dal Capitolo Generale,  a cui essa rendeva conto della sua attività. Il Capitolo Generale del 1977 giudicò che questo lavoro di riforma fosse abbastanza avanzato a livello dell’Ordine e che, avendo la maggior parte delle  regioni la propria Commissione di Liturgia, sarebbe stato sufficiente ormai avere un Segretario centrale per la Liturgia[20]. Il ruolo di questo Segretario era infine definito in modo abbastanza vago[21] e la durata del suo mandato non fu precisata. Dato che la persona che fu eletta (Dom Marie-Gérard Dubois) e che svolge sempre questo ruolo fin dal 1977 l’ha sempre fatto con la massima soddisfazione di tutti, non possiamo che rallegrarcene. Rimane che, quando si tratterà di designargli un successore, converrà definire la funzione e determinare la durata del mandato.

 

d) Nell’Ordine c’è un (a) Segretario(a) generale della formazione. Il suo ruolo è così definito nello Statuto sulla Formazione: “Il suo ruolo è di facilitare la comunicazione tra le Regioni e di assicurare la diffusione dell’informazione utile, in tutti i campi della formazione monastica[22]. Viene eletto(a) per una durata di tre anni dalle due Commissioni Centrali degli Abati e delle Badesse.

 

e) Una Commissione di architettura è esistita per molto nell’Ordine. Aveva il mandato di esaminare tutti i progetti di costruzione o di restauro. Quando le fondazioni hanno cominciato a moltiplicarsi in paesi e culture diverse, fuori Europa, questo ruolo divenne più difficile e la Commissione cessò di esistere[23]. Ci si potrebbe chiedere se non sarebbe il caso di farla risuscitare sotto una forma indubbiamente diversa, per aiutare le comunità, i superiori e i Padri Immediati a valutare l’opportunità di certi progetti.

 

I Commissioni di Aiuto:

 

Un nuovo fenomeno si manifesta nell’Ordine, quello della moltiplicazione delle “Commissioni d’aiuto”. Si tratta di piccoli gruppi di persone, in generale di Superiori, ma anche di altri monaci o monache, comprese persone esterne all’Ordine, che hanno come scopo di aiutare sia un Superiore nell’esercizio della sua responsabilità pastorale, sia di aiutare una Comunità nel suo insieme a far fronte ad una situazione di grande fragilità o a un problema speciale di carattere diverso.

            Poiché non è stata fatta dall’Ordine, a loro riguardo, nessuna legislazione, non si può parlare di una nuova “struttura”. Rimane comunque che il loro ruolo presso talune comunità è di una grande utilità e che la loro moltiplicazione è un fenomeno significativo. Le prime furono create una decina di anni fa; si sono però moltiplicate soprattutto dopo l’ultimo Capitolo Generale.

            Alcune sono state create dall’Abate Generale, altre dal Padre Immediato, altre ancora su domanda di una delle Commissioni Miste dell’ultima RGM. Hanno anche modi diversi di funzionare. Questa grande varietà è certamente positiva. In linea di massima queste Commissioni non hanno alcuna autorità giuridica e nessun mandato per intervenire nel cammino delle comunità. D’altro canto i campi in cui possono arrecare aiuto sono molto numerosi.

            Una questione che sembra porsi più di una volta a loro riguardo è la natura della loro interazione con la responsabilità del Superiore locale, con quella del Padre Immediato ( che, in generale ne fa parte) e delle altre strutture esistenti dell’Ordine, come la Conferenza Regionale, il Capitolo Generale, l’Abate Generale, ecc.

            E’ dunque importante passare ora alla seconda parte di questo studio, quella concernente l’interazione armoniosa (si spera, almeno!) tra tutte le strutture e gli altri organi di servizio menzionati finora.

 

 

 

 

 

 

II INTERAZIONE TRA LE DIVERSE STRUTTURE DELL’ORDINE

 

Abbiamo passato in rivista l’insieme delle strutture dell’Ordine. Tutte queste strutture sono al servizio della vita, cioè della vita concreta di ogni monaco o monaca dentro alla propria comunità locale. Esse non hanno altra ragione di esistere. Ci resta da vedere l’interazione di queste strutture: come possano tutte concorrere alla crescita spirituale. Non possiamo tuttavia evitare di prendere in considerazione le possibili disfunzioni, data la complessità dell’insieme e l’evoluzione recente di parecchie di queste strutture. Si vedrà che è giunto forse il tempo di rivedere la natura e il funzionamento di alcune tra esse.

            Ho pensato di utilizzare due “parabole” per mostrare i diversi modi in cui quest’interazione può essere realizzata.

 

1) Una situazione ideale

 

            Immaginiamo prima di tutto una situazione ideale. Pensiamo al modo in cui tutte queste strutture intervengono nella vita di fra Pafnuzio, che è un monaco ideale nella comunità di N. S. della Perfezione, la migliore comunità  del nostro Ordine, senza alcun dubbio, appartenente alla regione degli Alti Luoghi.

            Dopo aver frequentato la foresteria del monastero per qualche anno, poi aver trascorso dei tempi in comunità, Onesiforo è finalmente entrato nel postulandato. E’ diventato novizio prendendo il nome di Pafnuzio, e ha fatto professione solenne già da una buona decina d’anni. E’ un uomo dilatato, felice della sua vocazione, in buona relazione col suo abate e tutti i fratelli. E’ molto assiduo al lavoro manuale, alla lectio e all’Ufficio Divino.

Fra Pafnuzio riceve tutto il suo orientamento spirituale (la sua “direzione spirituale”, come si direbbe nella tradizione ignaziana, non monastica) dalla sua Comunità e dall’equilibrio che vi trova tra i diversi elementi della vita monastica. I capitoli del suo abate, le omelie sue e di altri sacerdoti della Comunità lo illuminano nella sua ricerca spirituale. Consulta di tanto in tanto un anziano. Non vede il suo abate molto spesso, in ogni caso non con una frequenza matematica, ma è molto aperto con lui e sa di poter andare a parlargli o della sua vita spirituale o delle sue relazioni comunitarie ogni volta che ne sente il bisogno. Adempie con gioia i vari compiti in comunità.

            Le rapide visite occasionali del Padre Immediato e le Visite Regolari sono per lui l’occasione di prendere coscienza di appartenere ad una realtà più grande della sua comunità locale, cioè ad una comunità di comunità che si chiama l’Ordine. Apprezza il modo in cui il Padre Immediato e, occasionalmente, un altro Padre Visitatore (o Visitatrice) aiutano la sua comunità a non addormentarsi sugli allori, o ancora ad identificare per tempo i problemi che cominciano a manifestarsi e a trovarne la soluzione prima che si aggravino. L’esperienza di altre Comunità, che questi Visitatori portano, aiuta lui e i suoi fratelli a rivalutare periodicamente il loro proprio modo di vivere l’esperienza monastica.

            Dal tempo della sua entrata, il Padre Generale è passato a due riprese; ogni volta fu una gioia e un incoraggiamento per lui sentir parlare dell’Ordine, con le sue grazie e i suoi problemi.  Si ricorda anche che al momento di una sua visita la Comunità passava per un momento difficile, che non riusciva a gestire bene e che i consigli che l’Abate Generale aveva potuto dare loro, a causa della sua esperienza e della sua conoscenza dell’Ordine, li aveva ben illuminati.

            Per Pafnuzio, il Capitolo Generale è una realtà lontana, ma ne coglie l’importanza. E’ cosciente di aver collaborato un po’ alla preparazione degli ultimi Capitoli Generali attraverso i dialoghi comunitari fatti in prossimità delle riunioni della Conferenza Regionale. Inoltre, una riunione della Commissione Centrale che si è tenuta nel suo monastero, gli ha permesso di cogliere tutto lo sforzo fatto a livello di tutte le regioni dell’Ordine per la preparazione di un Capitolo. Si ricorda infine che il problema accennato sopra e per il quale l’Abate Generale ha dato buoni consigli, è stato menzionato nel resoconto della Comunità nell’ultimo Capitolo Generale e che il

 

 

suo abate, al ritorno dal Capitolo, ha spiegato alla comunità come lo studio attento e simpatico di questa situazione nella Commissione Mista, che ha studiato il loro Resoconto, l’abbia aiutato a vedere meglio le diverse opzioni che si offrono alla comunità.

            Questo piccolo esempio, benché del tutto immaginario, mostra bene come tutte le Strutture dell’Ordine possano intervenire attivamente e positivamente per favorire la vita di un monaco  e della sua comunità, senza che nessuno mai debba fare appello alla sua “autorità” per intervenire con decisioni nella vita della comunità o dei suoi monaci. Si è trattato sempre di una ricerca di luce, in un  contesto di dialogo.

            Nella vita concreta le situazioni non sono mai così idilliache. Sia la vita di un monaco o di una monaca, come quella della sua comunità incontrano un giorno o l’altro situazioni problematiche che possono esserlo a gradi molto diversi. Vediamo ora un altro esempio, pure fittizio, che ci mostri come queste diverse strutture possano intervenire in modo sia positivo che negativo.

 

2) Una situazione tutt’altro che ideale

 

            La comunità di N. S. della Miseria attraversa da parecchi anni difficoltà considerevoli. La comunità ha vissuto un periodo abbastanza lungo senza vocazioni, prima di riceverne di nuovo in buon numero, alcuni anni addietro. Ciò fa sì che sia composta per il momento di un blocco di anziani e di un altro di monaci relativamente giovani. Ci sono tensioni tra i due blocchi. D’altronde, all’interno di ogni gruppo i pareri sono spesso divisi ogni volta che viene proposto qualcosa di nuovo alla comunità. L’abate che aveva saputo per tanto tempo mantenere la comunità nell’unità e nell’armonia, non sa più come gestire la situazione presente. Si sono anzi sviluppate tensioni abbastanza forti tra lui e alcuni dei suoi collaboratori principali, in particolare il priore e soprattutto il padre maestro, che si sforza di formare i “suoi” novizi secondo una concezione della vita monastica diversa da quella dell’abate.

            Alcuni monaci fanno allora ricorso al Padre Immediato perché venga a correggere la situazione. Hanno certamente ragione di ricorrere a lui, perché la situazione non sarebbe deteriorata a quel punto se egli fosse intervenuto più presto. Il Padre Immediato si rende conto ora che quando ha percepito che si profilava un problema serio, ha scelto di rimanerne fuori e di non intromettervisi. Era stato un grave errore, da parte sua. Gli era stata menzionata d’altronde questa situazione al momento dell’ultima Visita Regolare, ma lui aveva preferito non parlarne nella Carta di Visita, per non scoraggiare la Comunità. Aveva detto soltanto una  parola all’abate, ma siccome costui era piuttosto sulle difensive, non aveva insistito, per non guastare la relazione. Successivamente tutto si era esacerbato..

            Giunge dunque a fare una nuova Visita regolare, anche se ne aveva fatta una l’anno precedente e spiega alla comunità, un po’ sorpresa per questa nuova Visita, che non c’è nulla di anormale in questo, perché le Costituzioni chiedono che ci sia una Visita Regolare almeno una volta ogni due anni, ciò che implica che possa essere più frequente. Durante la Visita si vorrebbe che lui modificasse tante cose nel cammino comunitario. Lui deve spiegare che è il Visitatore e non il Superiore della comunità e che il suo ruolo non è di risolvere i problemi, ma di aiutare la comunità a farlo con il suo abate. Gli vien suggerito di cambiare il priore e il maestro dei novizi e lui risponde di non avere l’autorità per farlo. Tutt’al più potrebbe dimettere l’uno o l’altro ufficiale, se ci fosse una ragione grave per farlo, ma che non spetterebbe a lui la nomina dei sostituti. Sa che è preferibile convincere l’abate a fare questi cambiamenti subito dopo la Visita, se questa non riuscisse a indurre le due persone in questione a modificare il loro atteggiamento. Durante la Visita gli viene suggerito di riunire il Consiglio della comunità; lui risponde che è disposto ad avere dei dialoghi con i “membri del Consiglio”, ma che, dato che il Consiglio è il “consiglio dell’Abate”, solo lui può convocarlo. Una volta fatta questa chiarificazione, alcune riunioni  con l’abate e il suo consiglio aiutano a chiarire tante cose e intravedere vie di soluzione a diversi problemi.

            Stanco di questa situazione comunitaria un po’ pesante, un monaco, indubitabilmente vero

 

uomo di Dio, aveva scoperto all’improvviso di avere una vocazione eremitica e aveva chiesto all’Abate il permesso di partire, per andare a vivere come eremita in un luogo molto isolato, lontano dal monastero. Il Padre Abate, dopo aver ascoltato la sua richiesta e averne parlato col suo Consiglio, aveva rifiutato il permesso, giudicando che si trattasse di una tentazione di evasione. Il monaco scrisse dunque al Padre Immediato, per chiedergli il permesso rifiutato dall’Abate. Il Padre Immediato gli risponde di non avere l’autorità di concedergli un tale permesso e che deve cercare la soluzione della questione con il proprio Abate.

            Il nostro eremita in erba, convinto della sua vocazione, scrisse allora all’Abate Generale, per chiedergli il permesso di vivere come eremita, preoccupandosi di dirgli che lo faceva in base allo Statuto 77.2B, che gli dava il diritto di “ricorso” all’Abate Generale. Nella sua risposta questi gli spiegò anzitutto la differenza tra “appello” e “ricorso” (perché l’appello è la domanda fatta ad una corte superiore di rovesciare il giudizio di una corte di prima istanza). Le nostre Costituzioni non parlano di diritto d’appello, ma di diritto di ricorso. L’uso di questo diritto dà alla persona a cui si presenta ricorso, l’obbligo di occuparsi dell’affare e, all’occorrenza, dopo aver preso tutte le informazioni, di domandare alla persona che ha preso la decisione, di essere disposto a rivedere la cosa. In questo caso l’appello al Padre Generale dava a questi il diritto di esaminare la situazione e, nel caso giudicasse che la decisione presa non fosse giustificata, di domandare all’Abate di riconsiderare la sua decisione. Non gli dava, cioè, il potere di intervenire al posto dell’Abate, per dare l’autorizzazione che costui aveva rifiutato.

            Qualche tempo dopo, ebbe luogo la Conferenza Regionale, e l’abate ne approfittò, al momento dello scambio pastorale, per spiegare agli altri Superiori(e) la situazione che viveva con la sua Comunità. I loro consigli e le loro reazioni l’aiutarono grandemente, personalmente, e d’altronde gli interventi del padre Immediato – sfortunatamente tardivi – avevano aiutato a pacificare la situazione, ma il problema di fondo rimaneva. Alcuni monaci, dunque, decisero di presentare ricorso al Padre Generale, per sollecitare una Visita speciale. Questi si mise in contatto con il Padre Immediato per assicurarsi di aver fatto tutto quello che poteva fare. Raccomandò anzi al Padre Immediato di fare una nuova Visita, dandogli vari consigli sul modo di procedere.; lui stesso, in caso di necessità, avrebbe potuto fare più tardi una Visita.

            Nel frattempo si arrivò al momento del Capitolo Generale. La Comunità, nel suo Resoconto, aveva descritto onestamente la sua situazione. Si fece venire  nella Commissione Mista che studiava questo resoconto, il Padre Immediato, per avere il suo parere e si consultarono anche altri abati e badesse che conoscevano bene la comunità. Alcuni membri più giovani e più ardenti della Commissione, coscienti della loro responsabilità di agire a nome di tutto il Capitolo Generale, propendevano per obbligare l’Abate a dare le dimissioni, perché la situazione sembrava superarlo sempre più. Un membro della Commissione, buon canonista, spiegò loro che non si può mai obbligare qualcuno a dare le dimissioni. Per loro natura sono un atto libero (anche se non è necessariamente spontaneo). Nemmeno il Capitolo Generale ha l’autorità per obbligare uno a dimissionare. In casi molto gravi potrebbe dimettere qualcuno, ma è una cosa rarissima, che si può fare solo quando c’è scandalo o cause molto gravi. Se si giudica che le dimissioni siano indicate per il bene della comunità, ci sono tante maniere di portare pastoralmente qualcuno a prendere serenamente questa decisione, al momento opportuno.

            Nella situazione di cui parliamo, l’Abate si rese conto che era giunto il tempo di trasmettere la responsabilità pastorale ad un successore, ma non voleva farlo in modo brusco. Chiese che gli fosse concesso del tempo. La Commissione Mista raccomandò la creazione di una Commissione di Aiuto per assistere sia il Padre Immediato sia l’Abate nella gestione di questa delicata transizione..

            Fu effettivamente costituita una Commissione di Aiuto, che si dette come linea di condotta di essere una specie di “Consiglio” esterno, con un triplice incarico:

a) rendere l’insieme della comunità cosciente della responsabilità di ogni persona e della sua responsabilità collettiva nella ricerca di una via di evoluzione;

b) aiutare l’Abate a continuare ad esercitare pienamente la sua responsabilità pastorale, pur preparando le sue dimissioni;

c) aiutare il padre Immediato a manifestare più effettivamente che nel passato la sua sollecitudine pastorale sia per l’Abate che per la Comunità. Tutto progredì gradatamente verso una maggior serenità. Sei mesi dopo l’Abate dette le sue dimissioni, vissute senza traumatismi sia da parte sua che da parte della comunità. Fu facilmente eletto un successore molto capace, estraneo alle tensioni degli ultimi anni. Cosciente di assumere, accettando la sua elezione, la responsabilità pastorale nei riguardi di tutti i membri della comunità, compreso il suo predecessore, pregò costui di rimanere sul posto, dopo un breve tempo di riposo. Ciò che egli fece. La Comunità ritrovò la serenità, forte per aver attraversato positivamente un periodo difficile, con l’aiuto rispettoso e coordinato di tutte le istanze pastorali dell’Ordine, ciascuna attenta ad evitare con cura di oltrepassare le proprie attribuzioni e a tagliar fuori l’altra.

 

3) Lezioni da trarre da questi due esempi

 

            Il 1° principio che ho voluto esprimere in queste due parabole, è quello della sussidiarietà. La sollecitudine pastorale si esprime attraverso un’attenzione costante e rispettosa, una disposizione di tutti i giorni ad incoraggiare, appoggiare, consigliare, e talvolta avvertire e criticare, se ce ne fosse bisogno. Questa sollecitudine pastorale è sempre richiesta a tutti i livelli, anche quando le cose vanno o sembrano andar bene, senza problemi, in una comunità.

            Quando si presentano dei problemi o delle situazioni difficili, una comunità in buona salute è normalmente capace di affrontarli e di uscirne fuori da sola, soprattutto se ha l’attenzione pastorale del proprio Padre Immediato. Se essa non lo può  o se- e sarebbe ancor più grave - non ne vedesse il problema, la prima persona che deve metter tutto in opera per migliorare la situazione, è il Padre Immediato. Se non ce la fa, può domandare all’Abate Generale di apportare il suo carisma e le sue competenze ; ma deve resistere alla tentazione di domandare troppo in fretta all’Abate Generale di assumere una responsabilità che è prima di tutto del Padre Immediato.  Potrebbe essere, questa, una reazione sia di pigrizia che di mancanza di fiducia in se stesso, a meno che non sia ignoranza delle sue responsabilità. Parimenti i membri della Comunità, che trovano che il loro Abate è superato dalla situazione, devono appellarsi anzitutto al Padre Immediato, prima di ricorrere direttamente all’Abate Generale.

            Quando le Commissioni Centrali decisero, a Latroun, nel 1998, di  proporre ai Capitoli Generali la soppressione della Commissione Pastorale, l’idea era che nella misura in cui i Padri Immediati avrebbero adempiuto il loro ruolo e in cui le Regioni, meno prese di prima dall’analisi dei testi giuridici, avrebbero potuto consacrare maggior tempo ed energie per il reciproco aiuto pastorale, molto meno situazioni problematiche sarebbero arrivate fino al Capitolo Generale. Si è stati, allora, un po’ troppo ottimisti, a meno che non siano state le Commissioni Miste a non aver identificato troppo numerose situazioni come bisognose di un trattamento speciale.

            Di tutte le realtà esistenti, sono certamente le Commissioni di aiuto ad avere un ruolo che richiede per il momento un’attenzione particolare. Alcune di esse hanno mostrato una grande utilità, ma poiché sono nate in modo molto differente e funzionano pure con modalità differenti le une dalle altre, la loro relazione con gli altri organismi pastorali dell’Ordine non è sempre chiara.

            Senza dubbio ci sarebbe un motivo per apportare alcune precisazioni in questo campo, benché non sia  ancora opportuno redigere uno « Statuto » a loro riguardo. L’importante sarebbe che, nella creazione come nel funzionamento di queste Commissioni tutti fossero coscienti di dover appoggiare, incoraggiare e talvolta illuminare il lavoro pastorale dell’Abate e del Padre Immediato, e non di sostituirsi all’uno o  all’altro. Dovrebbe essere ugualmente del tutto chiaro che si tratta di un servizio offerto e che nessuno, nemmeno il Capitolo Generale (ancor meno una semplice Commissione del CG) può imporlo.

 

 

 

 

 

d) Preparazione e funzionamento dei Capitoli Generali

 

E’ certamente nella preparazione dei Capitoli Generali che entra in azione il maggior numero di Strutture nuove dell’Ordine, accanto alle Strutture più antiche e che una maggior attenzione si impone per assicurare la loro coordinazione.

            L’idea sottesa a tutta la riforma delle istituzioni centrali dell’Ordine, da una quarantina d’anni, è stata che il Capitolo Generale è essenzialmente un organo di comunione e non di controllo[24]. Tutto il meccanismo installato consiste nel promuovere il risalire della vita dalle comunità locali fino al Capitolo Generale.

            Le comunità locali sono invitate a preparare un resoconto della casa in vista del capitolo successivo. Sono spesso anche invitate dal Capitolo Generale a riflettere su un punto od un altro da trattare nel Capitolo seguente. Le Conferenze regionali raccolgono il vissuto delle comunità e fanno un certo numero di proposte che verranno in seguito studiate dalle Commissioni Centrali. Anche se non c’è nessuna legislazione a questo proposito, da tempo si è stabilita la consuetudine per le Commissioni Centrali di mettere nel programma del Capitolo Generale ogni suggerimento dato, fosse anche da una sola regione, se è stato oggetto di un voto maggioritario.

            Le Commissioni Centrali hanno come mandato di preparare il programma del Capitolo Generale a partire dal lavoro delle Regioni. L’apporto di tutte le regioni è già garantito dal fatto che il programma viene stabilito a partire dal loro lavoro. L’insistenza che si continua ad avere di una rappresentanza di tutte le regioni in seno alla Commissione Centrale, non si giustifica affatto. Quest’insistenza fa sì che le Commissioni Centrali costituiscano un corpo troppo grande per fare un lavoro veramente efficace in pochi giorni. (Il numero sarà meno grande se si avrà un solo Capitolo, ma sarà comunque troppo grande). Le Commissioni Centrali sono infatti un gruppo di lavoro, che deve mettere a punto un programma, e non un organo di decisione. Un gruppo limitato di persone, scelte per le loro capacità, e rappresentanti le diverse parti dell’Ordine, potrebbe fare il lavoro in modo più rapido e soprattutto più efficace che un gruppo di 40 persone.  Questo è legato alla questione sollevata sopra, dei rapporti tra le Commissioni Centrali e le Conferenze regionali[25].

            E’ vero che le Commissioni Centrali, quando sono riunite, possono agire come Consiglio plenario dell’Abate Generale, ma questo per loro è un ruolo secondario, che non è affatto necessario, perché l’esperienza dimostra che, a questo titolo, trattano solo alcune questioni che l’Abate Generale tratta ordinariamente con il suo Consiglio.

            Ma ci sarebbe soprattutto una riflessione molto importante ed urgente da fare su ciò che viviamo nel corso del Capitolo Generale, per assicurare una miglior coordinazione del Capitolo Generale con le altre istanze pastorali dell’Ordine. Un punto importante da prendere in considerazione è che nessuna di quelle istanze di cui abbiamo parlato esistono come tali all’interno del Capitolo. Per farmi capire, voglio riportare una spiegazione molto illuminante che mi dette P. Jesús Torres, allora sotto-segretario della Congregazione per gl’Istituti  di Vita Consacrata, quando gli ponevo una domanda su un punto di dettaglio dello svolgimento del Capitolo. “Al Capitolo Generale – mi disse – ci sono solo capitolari – un collegio di Capitolari. Il Diritto Canonico lascia a tutti gl’Istituti religiosi il compito di determinare come vengono scelti i Capitolari. Secondo la vostra tradizione, voi avete determinato nelle vostre Costituzioni che tutti i Superiori e i membri del Consiglio dell’Abate Generale sono di diritto Capitolari. Ma una volta che il Capitolo è aperto, non sono là in qualità di Abati o Superiori ad nutum, o Consiglieri, ecc.: sono presenti tutti allo stesso titolo, in quanto Capitolari, designati per questo Capitolo”. E rispondendo allora alla domanda precisa che gli avevo posto, aggiungeva: “Chi è venuto al Capitolo come capitolare lo rimane fino alla fine del Capitolo. Così un Abate arrivato al Capitolo come capitolare e che dimissiona come Abate dopo il 1°  giorno del Capitolo, rimane capitolare di diritto fino alla fine del Capitolo”. Inversamente, se uno viene eletto Abate nella sua Comunità il 2° giorno del Capitolo Generale, non

 

 

diventa per questo membro del Capitolo Generale, anche se questo può invitarlo e conferirgli il diritto di voto (C78).

Alla luce di ciò, possiamo fare le seguenti osservazioni: si può capire che in certi momenti durante un Capitolo, si possa chiedere ai “membri appartenenti alle diverse Conferenze regionali” di dare il loro parere; ma affidare un lavoro alla “Conferenze regionali” come tali, non ha alcun senso, dal punto di vista giuridico. Così si può capire che in certi momenti si pensi che i Capitolari che sono membri del Consiglio del Padre Generale sono del tutto indicati – a motivo della conoscenza che hanno dell’Ordine – per trattare l’una o l’altra questione e siano invitati a farlo; ma affidare un ruolo, in seno al capitolo, al “Consiglio dell’Abate generale” non ha senso giuridico, perché questo Consiglio non è una Struttura del Collegio capitolare.

            I lavori del Capitolo Generale son ben rodati. Una procedura messa a punto nel 1971 e incessantemente rivista da allora secondo le nuove circostanze ,Capitolo dopo Capitolo, guida i suoi lavori. Esistono varie Commissioni, oltre alle numerose Commissioni ad hoc create per dei bisogni precisi. Sono tutte Commissioni del Capitolo, che non esistono come tali dopo la chiusura del Capitolo. C’è soprattutto la Commissione di Coordinazione e le 15 Commissioni Miste a cui una volta si aggiungeva la Commissione Pastorale. Potremmo menzionare anche la Commissione di Diritto del Capitolo, della cui composizione abbiamo già spiegato sopra. Fino all’ultimo Capitolo, nessuna decisione veniva considerata come decisione del Capitolo se non era stata votata dall’Assemblea Plenaria, anche se tutto lo studio preparatorio a questa decisione era stato fatto da una Commissione o un gruppo ad hoc. Nell’ultimo Capitolo ci siamo scostati da questa  sapienza secolare. Spiegherò più oltre i problemi che ciò pone.

            Una questione delicata che non si è potuta schivare è quella del ricorso molto frequente di certi Capitolari all’Abate Generale, nel corso del Capitolo, per la soluzione dei problemi sia delle loro Comunità sia tra di loro e il loro Padre Immediato o un altro Abate. Evidentemente è molto normale e legittimo che dei Superiori che non hanno generalmente l’occasione di incontrare l’Abate  Generale fuori dal Capitolo Generale desiderino farlo a quel momento. E’ certamente altrettanto normale che l’Abate Generale faccia appello ad alcuni capitolari e crei pure una piccola Commissione per trovare una soluzione ad una situazione complessa; ma se si arriva allora a prendere delle decisioni, e soprattutto se queste non vengono comunicate all’Assemblea Plenaria, ci si può chiedere se non ci si trovi di fronte a decisioni che dovremmo considerare come extra-capitolari, benché fatte durante il Capitolo, pur rallegrandoci dei loro risultati.

            Il Capitolo è d’altronde senza dubbio l’occasione di un buon numero di attività extra-capitolari – senza contare i profondi dialoghi pastorali al bar all’angolo. E’ importante  distinguere bene ciò che è attività del Capitolo e di cui esso assume tutta la responsabilità, da ciò che è attività, forse necessaria e utilissima, fatta durante il Capitolo.

Uno studio ancor più attento è richiesto per l’attività delle Commissioni Miste (e di numerose sotto-commissioni e commissioni speciali create da esse) e la coordinazione del loro lavoro con le Strutture dell’Ordine. C’è la questione della coordinazione durante il Capitolo; ma ancor più: se esse prendono decisioni che toccano la vita delle comunità dopo il Capitolo, quella della coordinazione con la responsabilità del Padre  Immediato ed eventualmente l’attenzione pastorale che una regione potrebbe aver dato ad una situazione già da anni.

 

 

EXCURSUS: POTERE DI DECISIONE DATO ALLE COMMISSIONI MISTE

 

 

            Secondo la Carta di carità, gli Abati delle case-figlie di Cîteaux si riunivano per parlare della salvezza delle loro anime e occasionalmente per aiutarsi reciprocamente anche nell’ambito dei bisogni materiali. La preoccupazione principale era essenzialmente pastorale. Dal momento in cui l’Ordine cominciò ad espandersi e ogni filiazione sviluppò uno spirito proprio, la preoccupazione di mantenere l’unità dell’Ordine si manifestò in modo più forte. Poiché l’uniformità delle Osservanze fu per tanto tempo concepita come il mezzo migliore di mantenere l’unità dell’Ordine, i Capitoli

Generali furono rapidamente chiamati a legiferare sulle Osservanze. Ciò dette ai loro Acta l’impressione di un orientamento sempre più giuridico. Tuttavia si può pensare che la preoccupazione pastorale del bene spirituale e materiale delle Comunità sia rimasta a lungo ben viva, anche se non costituiva l’oggetto di “decisioni” da figurare negli Acta.

 

a) Breve percorso storico della dimensione pastorale del Capitolo

 

            Fino all’epoca della riforma postconciliare (dopo il Vaticano II) la parte essenziale di ogni Capitolo Generale rimaneva la lettura delle Carte di Visita redatte dai Padri Immediati. Questa lettura fu, a partire dal 1977, sostituita da quella dei “Resoconti delle Case” redatti dalle Comunità stesse (con un certo intervento del Padre Immediato). In ambedue i casi la preoccupazione era pastorale. A partire dalla fine degli anni ’60, in cui si rifletteva durante i Capitoli Generali sull’identità del Capitolo Generale, si faceva sentire un certo desiderio abbastanza generale di passare da una concezione del Capitolo Generale visto come “organo di controllo” (come si tendeva talvolta a concepire la lettura delle Carte di Visita) ad una concezione del Capitolo visto come “organo di comunione” (ciò a cui volevano servire i Resoconti delle Case)…

            A partire dal 1969, l’Ordine fu sempre più implicato – tanto a livello del Capitolo Generale quanto a livello delle Regioni ( che erano nate da poco) nella revisione delle Costituzioni e delle strutture giuridiche dell'Ordine. Si dovette trattare in lungo e in largo in particolare delle questioni spinose della “collegialità” e delle relazioni tra i due “rami” dell’Ordine. Durante un certo numero di Capitoli non si lesse d’altronde più che un numero limitato di Carte di Visita. Alcuni si lamentavano per il fatto che i Capitoli erano diventati troppo “giuridici” e non abbastanza “pastorali”, anche se altri rispondevano – giustamente – mi sembra – perché io ero uno…- che l’elaborazione di una buona legislazione è pure un lavoro altamente pastorale.

            Fatto sta che con la conclusione del lavoro sulle Costituzioni alla (prima) Riunione Generale Mista del 1987 e la loro pubblicazione da parte della Santa sede a Pentecoste del 1990, veniva data l’occasione di rivedere la dinamica dei Capitoli Generali. Ormai, anche se restava da mettere a punto alcuni “Statuti” importanti (Formazione, 1990; Commissione di Diritto, 1993; Visita Regolare, 1996; Amministrazione Temporale, 1999), l’attività propriamente legislativa dei Capitoli Generali diventava più limitata e si poteva riprendere la lettura dei Resoconti delle Case. Questo è stato deciso dalla RGM del 1990 (voto 48). Tutti pensavano che, ad ogni modo, ciò avrebbe conferito un’atmosfera più “pastorale” al Capitolo (anche se tutti non attribuivano probabilmente lo stesso significato a questa parola).

            Parecchie Regioni esitarono tuttavia davanti all’idea di dover ascoltare in Plenaria più di 150 resoconti. Anche le Commissioni Centrali riunite a Gethsemani nel 1992, proposero un nuovo modo di fare, che fu accettato dalla RGM del 1993 ed è rimasta, da allora, come nostra pratica: tutti i Resoconti vengono letti alla RGM…ma ripartiti tra le Commissioni Miste, invece di essere letti in plenaria.

            La RGM del 1993 non solo accettò questa proposta, ma col voto n° 97 decise che avrebbe adottato la stessa procedura nella riunione successiva. A partire di là le Commissioni Centrali del 1995, a Orval, elaborarono una procedura dettagliata per il trattamento dei Resoconti delle Case, con il titoloTraitement pastoral des rapports de maison” Questa procedura, leggermente adattata nelle CC di Latroun nel 1998, in quelle di La Trappe nel 2001 e in quelle di Scourmont nel 2004, è praticata ancora.

            Dato che c’era stata una certa insoddisfazione con il funzionamento delle due Commissioni Pastorali congiunte, al momento della RGM del 1996, al momento delle CC di Latroun nel 1998 venne fatta la proposta di sopprimere queste due Commissioni Pastorali e di lasciare le Commissioni Miste occuparsi di tutte le questioni, anche di quelle che, a motivo del loro carattere confidenziale o complesso, erano affidate fino ad allora alla Commissione Pastorale di ciascuno dei due Capitoli Generali. Si mantenne tuttavia una Commissione Mista speciale, la Commissione 15

 

 

(composta di membri eletti nella RGM precedente come “Commissioni Pastorali) a cui si sarebbero  affidati i casi più difficili.

Dopo la RGM del 1999, le Commissioni Pastorali (ribattezzate provvisoriamente “Commissione 15”) si estinsero. Le CC di La Trappe nel 2003 adattarono di nuovo la procedura del “Trattamento pastorale dei resoconti delle case”, chiarificando in particolare il modo per cui le situazioni più difficili, richiedenti una presa di decisione dei Capitoli Generali sarebbero risaliti all’Assemblea Plenaria.

            Fino a là, i membri delle diverse Commissioni Miste erano ben convinti di esercitare un ruolo altamente pastorale; ogni Commissione poteva soffermarsi più a lungo sulla situazione di ciascuna di queste Comunità, imparando dall’esperienza vissuta di ciascuna, facendo venire il Superiore e in certi casi anche il Padre Immediato per ascoltarli, per meglio comprendere la situazione di ogni Casa. Là dove c’erano difficoltà o problemi, l’attività pastorale della Commissione poteva, in generale, limitarsi ai consigli e alle raccomandazioni. Si prevedeva il caso in cui certe misure che sembravano importanti o essenziali alla Commissione Mista non sarebbero state accettate dal Superiore locale o dal Padre Immediato. In tale caso, la questione doveva essere rinviata, secondo l’una o l’altra procedura, alla decisione dell’Assemblea generale. Fino ad allora era dato per scontato che ogni “decisione” in senso stretto avrebbe potuto essere presa solo dal Capitolo Generale (sia degli Abati che delle Badesse, secondo il caso). La “Commissione Pastorale” aveva funzionato così. Restavano rari, come sempre nel passato,  i casi in cui una “decisione” avrebbe dovuto essere presa dall’Assemblea generale.

            Ecco che tra il Capitolo Generale del 2003 e quello del 2005, in certe regioni si manifestò il desiderio di dare alle Commissioni Miste il potere di prendere delle decisioni concernenti le comunità “a nome del capitolo Generale”, senza dover deferire all’Assemblea Plenaria della RGM o dei Capitoli interessati – un potere che non aveva la Commissione Pastorale, di cui assumevano ormai il compito.

            Prima di procedere, consideriamo un po’ il funzionamento della Commissione Pastorale – di cui non è il caso di fare qui la storia – per vedere che cosa hanno ereditato le Commissioni Miste.

 

b) La Commissione Pastorale

 

            La Commissione Pastorale (che aveva avuto precedentemente diversi altri nomi corrispondenti alla mentalità di ogni epoca) era una Commissione speciale di ciascuno dei due Capitoli Generali, a cui era stato affidato lo studio di situazioni o particolarmente difficili o richiedenti una maggior confidenzialità. I membri venivano eletti alla fine di ogni Capitolo Generale per il Capitolo successivo ( il metodo di elezione era un po’ diverso per le monache), secondo una certa rappresentanza delle Regioni. Questa Commissione, composta di persone elette per la loro esperienza o la loro conoscenza dell’Ordine, lavorava spesso tardi la sera, durante una grande parte del Capitolo. Alcuni Presidenti di questa Commissione vi lasciarono la loro impronta (Dom Alexandre del Désert, poi Dom John Eudes di Genesee). Una buona parte del lavoro “pastorale” di questa Commissione consisteva in raccomandazioni, nell’analisi di situazioni, ecc. Verso la fine del Capitolo Generale il Presidente presentava al Capitolo Generale un resoconto del suo lavoro. Quando dovevano essere prese delle decisioni, come l’invio dei Visitatori speciali in una casa, con poteri speciali, queste decisioni venivano proposte al capitolo interessato – monaci o monache – che doveva decidere con un voto in Assemblea Plenaria. Queste decisioni venivano compilate in un “resoconto confidenziale” comunicato in seguito a tutti i Capitolari.

            Ci fu un Capitolo in cui la Commissione non si sentiva autorizzata moralmente a dare tutti i dettagli di certe situazioni – dettagli che alcuni Capitolari ritenevano necessario conoscere, per prendere una decisione illuminata. Fu allora deciso che nel caso si presentassero ancora simili casi, la Commissione,  anziché chiedere ai Capitolari di votare su una situazione di cui  ignoravano gli elementi essenziali, avrebbe potuto prendere la decisione a nome del capitolo Generale, con la sua

 

delega. Sembra che non si sia mai fatto questo.

            Per altro, lo Statuto di questa Commissione fu in cantiere per parecchi anni. Sembrava essenziale al Presidente di allora che la Commissione potesse iniziare il suo lavoro prima del Capitolo (per raccogliere l’informazione necessaria) e proseguire dopo il Capitolo Generale. Ma il Capitolo Generale respinse sempre questa richiesta. Si teneva che questa Commissione restasse una Commissione “del Capitolo”, non preesistente ad esso e non funzionante dopo la sua chiusura.

            Nell’ultimo Capitolo Generale, si decise che le Commissioni Miste – che avevano assunto il lavoro delle ex- Commissioni Pastorali non avrebbero avuto semplicemente il potere di studiare le situazioni, di dialogare con il Superiore e le altre persone interessate, ma che avrebbero potuto anche prendere delle decisioni “a nome del Capitolo, senza che venisse richiesto un voto dell’insieme del Capitolo. sembra che la maggioranza dei Capitolari abbia apprezzato questa situazione. Personalmente continuo a pensare che sia stato un errore, e per varie ragioni.

            Anzitutto, quando certi superiori si rallegravano di poter finalmente esercitare un “ruolo pastorale” nel Capitolo Generale, si aveva l’impressione che, per loro, “essere pastorali” consistesse nel “prendere decisioni” per altri. In realtà, avendo partecipato personalmente a tutti i Capitoli Generali in cui è avvenuta l’evoluzione che ho descritto e avendo partecipato a tutte le Commissioni Centrali in cui fu elaborata questa nuova legislazione[26], rimango convinto che i nostri Capitoli Generali non sono tuttavia divenuti più “pastorali”; al contrario, mi sembra che la frenesia con cui furono create, dalle Commissioni Miste, Commissioni speciali su Commissioni speciali per trovare soluzioni a situazioni complesse, note appena ai membri delle Commissioni e che questi non avevano nemmeno il tempo di studiare, abbia creato un’atmosfera attivista nettamente meno “pastorale” che nei Capitoli precedenti in cui le Commissioni Miste studiavano pastoralmente tutte le stesse situazioni senza dover preoccuparsi di prendere esse stesse - a sei o a sette – a nome di tutto l’Ordine, decisioni che avrebbero avuto conseguenze serie sulla vita delle Comunità e delle persone.

            Si impone un’analisi più dettagliata del lavoro di queste Commissioni nell’ultimo Capitolo Generale, che non è il caso di fare qui. Si commise un certo numero di errori dovuti alla frenesia pastorale di certe Commissioni, che potremmo qualificare come peccati di giovinezza facilmente correggibili; ma ci sono alcuni problemi di fondo.

            Rileggendo il voto 8 delle Commissioni Centrali del 2004 a Scourmont, confermato dalla RGM del 2005 e lì  messo in pratica, sono colpito dalla sua incoerenza. Il testo del voto 8 è il seguente: “Noi auspichiamo che le Commissioni Miste godano, per delega, dell’autorità dei Capitoli Generali, quando studiano i resoconti delle Case, per suggerire o decidere ciò che conviene fare a livello pastorale e per esigere la messa in pratica delle loro decisioni, salvo quando si tratti di diritti riservati ai Capitoli Generali (cfr. C.79)”. E’ anzitutto strano parlare di “diritti riservati ai Capitoli Generali”, perché la C. 79 non parla affatto di diritti, ma definisce la competenza giuridica dei Capitoli Generali. Questi non hanno alcun altro potere da quelli esplicitamente menzionati in questa Costituzione 79 Ora, questo voto 8 delle Commissioni Centrali di Scourmont (ratificato dalle RGM del 2005) dice che i Capitoli Generali delegano alle Commissioni Miste tutti i poteri, tranne quelli menzionati in questa Costituzione! Dato che i Capitoli Generali non hanno alcun altro potere da quelli menzionati nella C. 79, delegherebbero dunque alle Commissioni Miste poteri che essi non hanno. Siamo nella quadratura del cerchio.

            Un secondo problema di fondo, almeno per i Capitoli Generali del 2005 (ma che potrebbero ben presentarsi nuovamente, se i venti che vengono da Roma non apportano migliori auguri) è che delle Commissioni composte di Capitolari dell’uno o dell’altro Capitolo hanno preso decisioni provenienti unicamente, secondo il caso, o dal Capitolo delle Badesse, o dal Capitolo degli Abati. Tali decisioni sono valide?  

Un terzo problema di fondo è che al momento degli ultimi Capitoli Generali sono state prese decisioni a nome di tutti i Capitolari, senza che questi abbiano ricevuto un rapporto scritto con la descrizione del numero, della natura e dell’estensione delle decisioni prese a nome loro. Tutti i (le)Capitolari avevano certamente stretto diritto ad avere questa comunicazione. Ogni persona che riceva un potere delegato è tenuta a rendere conto della sua gestione alla persona (fisica o morale) che l’ha delegata.

Un certo numero di problemi si sono posti nella pratica, al momento dell’ultima RGM che, lo ammetto,  potranno facilmente essere corretti. Conviene però menzionarne almeno qualcuno:

a) Il voto 9 della CC di Scourmont prevede una possibilità di ricorso. “Coloro che sono                                                                                                                                                                   interessati da una decisione di una Commissione Mista potranno, se non sono d’accordo con le sue disposizioni, ricorrere all’Assemblea Plenaria, che deciderà della procedura da seguire”. Ora è successo che certi(e) superiori(e) hanno ricevuto comunicazione delle decisioni che li concernevano dopo la chiusura del Capitolo.

b) Un certo numero di decisioni (per es. scelta del Visitatore speciale da mandare in tale o tal altra comunità) sono state prese nei giorni che sono seguiti alla chiusura della RGM. Queste decisioni sono valide? Di fatto le Commissioni Miste cessano di esistere alla chiusura del Capitolo.

c) Molti superiori hanno ricevuto mandati di “Visitatori speciali” senza che il loro mandato fosse sempre esplicitamente specificato. Tranne il caso di una decisione molto esplicita del Capitolo Generale (per delega!) ogni Visitatore, per quanto speciale sia, non  ha alcun’altra autorità da quella data a qualsiasi Visitatore dallo Statuto delle Visite Regolari. Un Visitatore, sia pure delegato dal capitolo Generale, può assumere in pratica il ruolo di Padre Immediato?

d) Quando si introdusse la lettura dei Resoconti delle Case da parte delle Commissioni Miste, si considerò fosse normale far venire nella Commissione il Superiore della Casa interessata, quando si sarebbe letto il suo resoconto, e anche, all’occorrenza, il Padre Immediato. Ci si rendeva conto che questo avrebbe potuto disturbare un po’ il cammino delle Commissioni, perché ci sarebbe stato sempre qualcuno di assente o qualcuno nei corridoi che andava da una commissione all’altra, ma sembrava che la cosa fosse accettabile, e difatti funzionò abbastanza bene per alcuni Capitoli; nell’ultimo Capitolo il bisogno avvertito da certe Commissioni di arrivare a una “decisione” su situazioni che nessun membro della Commissione conosceva veramente, li indusse a creare delle sotto-Commissioni, poi delle Commissioni speciali facendo appello a persone di altre Commissioni

e ciò ha provocato un andirivieni che disturbava abbastanza .

            e) Infine, resta tutto il problema del dopo. Il mandato dato al Visitatore speciale dovrebbe almeno precisare a chi deve dare relazione e chi deve intervenire se la sua Visita rimane senza risultati. Altra domanda, non senza una certa importanza: chi paga tutti questi viaggi?

            Cosa certa, se nei prossimi Capitoli Generali ( nel prossimo Capitolo Generale, Vaticano volente) si dà ancora lo stesso potere alle Commissioni miste, molte chiarificazioni dovranno essere apportate concernenti l’esercizio di questo potere.

 

Conclusione

 

            Come ogni comunità del nostro Ordine è costituita dai legami di carità che uniscono i fratelli o le sorelle, così il nostro Ordine è costituito da una vasta rete di strutture e di servizi che hanno per fine di mantenere la comunione tra le comunità e di permettere ad ogni monaco e ad ogni monaca di vivere una profonda relazione con Dio

            All’interno della sua Comunità il monaco può contare sul supporto e l’esempio della vita comunitaria come sull’attenzione pastorale del suo abate che avrà l’attenzione di farsi aiutare da diversi ufficiali, sia nel campo spirituale che materiale.

            Tutti i Superiori dell’Ordine assumono, quando accettano il loro incarico, una responsabilità pastorale collegiale sull’insieme dell’Ordine. La esercitano essenzialmente attraverso la loro partecipazione al Capitolo Generale, la relazione di filiazione tra le comunità e il ruolo del Padre Immediato, come anche le Visite Regolari e gli incontri dei Superiori in seno alle Conferenze Regionali. Sia nelle Conferenze regionali come nel Capitolo Generale essi si fanno assistere da

 

 

alcuni delegati delle loro comunità nell’esercizio della loro responsabilità pastorale.

            Nella situazione ideale, l’attenzione pastorale può esercitarsi senza l’esercizio dei poteri legati a certe responsabilità.  Quando, in circostanze speciali o difficili, si impone l’esercizio di un’autorità canonica è grandemente importante, per il mantenimento della carità e per il conseguimento di frutti spirituali, che ogni persona implicata sia cosciente della sfera delle sue responsabilità e dei limiti della propria autorità, da esercitare nel rispetto totale dell’autorità degli altri intervenienti. Proprio questo campo e  questi limiti ci siamo sforzati di precisare nelle pagine che precedono.

            Altrettanto devono essere scrupolosamente rispettati l’autonomia della comunità locale e il potere supremo del capitolo Generale. Ogni intervento pastorale tra questi due poli deve rispettare il principio di sussidiarietà. L’autorità superiore deve aiutare quella su cui essa ha un dovere di vigilanza per esercitare bene la sua propria responsabilità pastorale piuttosto che sostituirsi ad essa.

            Chiunque detiene una responsabilità pastorale in seno all’Ordine, a qualsiasi livello, deve aver cura di acquisire un concetto chiaro dell’estensione della sua responsabilità e dei limiti della sua autorità. Deve ugualmente conoscere bene tutte le regole canoniche gestendo l’esercizio di quest’autorità e che sono in generale il frutto dell’esperienza e della sapienza dei secoli. L’esperienza mostra che ogni volta che in nome della larghezza di spirito o di una pretesa sapienza pastorale personale vengono trascurate o non applicate queste regole, vengono violati i diritti di altre persone.

            La precarietà di certe persone in seno alla comunità locale o di certe Comunità in seno all’Ordine richiede non che altri si arroghino la responsabilità di decidere al loro posto ciò che li riguarda, ma piuttosto che li si aiuti con grande attenzione e grande delicatezza a prendere loro stessi(e) le loro proprie decisioni.

            Da questo punto di vista alcune  Strutture recenti, nate dalla vita ma non ancora ben rodate, esigeranno nel corso degli anni futuri un’attenzione particolare. Bisognerà essere attenti a chele Commissioni di Aiuto lavorino sempre in armonia con il Padre Immediato e il Superiore locale nel pieno rispetto delle responsabilità del capitolo conventuale e anche della “suscettibilità” legittima dei membri della comunità.  Bisognerà anche che le Commissioni Miste del Capitolo Generale, se si persiste nel dare loro il potere delegato di agire a nome dell’insieme del Capitolo, riducano a oro frenesia pastorale e siano più coscienti che nel passato del fatto che la qualità e la riuscita di un intervento pastorale si manifesta in generale nel fatto che essa non ha bisogno, per portare frutti, di alcun esercizio di potere, e nemmeno- la maggior parte del tempo –di alcuna presa di decisione.

 

Scourmont,  sol. dell’Immacolata Concezione 2006

 

Armand Veilleux

 



[1] E’ possibile leggere il testo di questa Dichiarazione su Internet : http://users.skynet.be/scourmont/cg1969/decl-v-cist-69-fra.htm

 

 

 

[2] Radunati dalla voce divina, i fratelli costituiscono una chiesa o comunità monastica, che è la cellula fondamentale dell’Ordine Cistercense.

[3] Vedi quanto dice a questo proposito lo storico della vita religiosa Eutimio SASTRE SANTOS : « Quando nel 1119 Stefano Harding riceve da Callisto II la conferma dei primi statuti, ci sono cinque monasteri in più, situati in diocesi diverse…Stefano Harding – oppure Alberico, come vuole l’Exordium parvum – deve affrontare e risolvere il problema giuridico che bloccava il vecchio monachesimo : come conservare l’autonomia dei monasteri e assicurare l’unione delle osservanze nel momento di uno strepitoso successo.

                La soluzione escogitata mantiene il principio del diritto antico di conservare l’autonomia di ogni monastero; perciò ad ogni abate e alla sua badia viene riconosciuta un’autonomia amministrativa e finanziaria. Però lo stesso Abate e la stessa badia devono sottostare alla suprema autorità legislativa e giudiziale, che non è di tipo fisico, ma giuridico: il capitolo generale. Tale capitolo, radunato ogni anno a Cîteaux, il 14 settembre, sotto la presidenza dell’abate della stessa badia, corregge gli abusi, punisce i colpevoli, modifica le leggi. A vegliare sull’osservanza dei monasteri provvedono le visite che devono allacciare i legami spirituali tra i monasteri autonomi…Vige così tra i monasteri autonomi il sistema di filiazione…

                La Carta Caritatis cioè la constitutio del novum monasterium… ha gettato le basi per risolvere la questione giuridica di come collegare tra loro i monasteri…

                Una diversa institutio distingue il vecchio dal nuovo monachesimo. A Cîteaux, a differenza dell’unico Abate di Cluny, si mette in piedi un capitolo generale: la suprema autorità non è una persona fisica, ma una persona giuridica: un collegium. Gli instituta dei capitoli e la vigilanza attuata con le visite, suddivise tra quattro abati, permettono di mantenere l’osservanza…Tuttavia, le “novità” del capitolo e delle visite non sopprimono la vecchia autonomia dei monasteri. In realtà l’Ordo Cistercii è costituito da una federazione di monasteri uguali e autonomi sotto la suprema autorità di una persona giuridica: il capitolo. Però, la suprema autorità personale di Cluny, del vecchio monachesimo, è stata spodestata” –Eutimio SASTRE SANTOS, La vita religiosa nella Storia della Chiesa e della società, Ancora, Milano, 1997 p.319-320

[4] N. B . E’l’elezione che viene confermata, e non l’eletto (electio confirmatur). Vedi C. 39,6)

[5] Per tanto tempo il superiore ad nutum, nel nostro Ordine, era considerato come uns emplice delegato del Padre Immediato, il che era un’anomalia, poiché, secondoil Diritto Universale, ogni Superiore di una Casa autonoma è un Superiore maggiore con un potere ordinario. Quest’anomalia è stata corretta nei Capitoli Genarali del 2002 (voto 34).

[6] Padre Jesús Torres, ex-sottosegretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata ed eccellente canonista, mi spiegava, un giorno, nel suo linguaggio figurato e chiaro, che l’autorità del nostro Capitolo Generale è costituita da quel pezzetto di autorità che le delegano le comunità autonome che costituiscono l’Ordine.

[7] « Anche se la Visita è fatta dal Padre Immediato, il superiore conserva il suo potere ordinario nel monastero ».(Statuto della Visita Regolare, n°18).

[8] Ibidem

[9] Secondo lo Statutodella Visita Regolare, n° 22, egli potrebbe, in casi eccezionali, previa consulazione del superiore, togliere dalla carica un responsabile o un ufficiale. Non ha tuttavia l’autorità di nominare il sostituto.

[10] Ho fatto, per la riunione del 2006 della Conferenza Regionale CNE (Centro e Nord Europa) uno studio abbastanza elaborato sulla storia del ruolo dell’Abate generale nel nostro Ordine. E’ possibile leggerla come Annesso 3 del Resoconto di questa riunione.  Si può leggerla anche su Internet a questo indirizzo :

http:/www.cîteaux.net/wri-av/abbot general.htm.

[11] Vedi resoconto delle Sedute, 1951, pag 36-39.

 

[12] Abbas Generalis jure intellegitur supremus Moderator instituti clericalis iuris pontificii, ad normam Constitutionum.

[13] Vedi i voti 44,45 e 60 di questo Capitolo Generale. Questa possibilità di Consiglieri speciali è stata aggiunta alle nostre Costituzioni, come Statuto 84,1,J

[14] Ho fatto uno studio abbastanza elaborato sull’origine e gli sviluppi della Commissione Centrale. Vedi « Histoire de la Commission Centrale » in Un bonheur partagé – Mélanges offerts à Dom Marie-Gérard Dubois. (Cahiers Scourmontois -–5), Scourmont 2005, pag. 213-236. Si può leggere lo stesso testo su Internet, all’indirizzo : http://users.skynet.be/bs775533/Armand/wri/comm-centrale.htm.

 

 

 

 

 

[15] Ho fatto uno studio sull’origine e l’evoluzione delle Regioni, per la Conferenza Regionale CNE del giugno 2003. Il testo si trova nel Resoconto di questa riunione o lo si può leggere su Internet, all’indirizzo : http://users.skynet.be/bs775533/Armand/wri/comm-centrale.htm.

[16] Mi sono spiegato più estesamente a questo proposito nel mio articolo sulla Commissione centrale, menzionato alla nota 10.

[17] L’abate Generalenomina un membro del’Ordine responsabile dell’amministrazione ordinaria dell’Ordine. Nomina anche una commisione di finanze per l’amministrazione delcapitale dell’ordine, che offre al Capitolo Genarale resoconti annuali… » (Statuto dell’Amministrazione temporale, n° 33,b)

[18] resoconto, Voti 23,24 e 26.

[19] resoconto, voto da 28 a 31. Si può aggiungere che capita che delle Comunità affidino all’Abate Generale delle somme che egli può utilizzare per aiutare monasteri che gli presentano le loro richieste.

[20] Resoconto, pag. 265.

[21] « Il Capitolo Generale nominerà un Segretario centrale che si prenderà cura delle questioni di liturgia che si presenteranno a livello dell’Ordine

[22] Documento sulla formazione, n° 70

[23] Il Capitolo Generale del 1967 le votò un nuovo statuto. Vedi Annesso VI del resoconto, p.169-170. Ignoro a d ata  si sia estinta. Una consultazione rapioda dei resoconti dei capitoli Generali non mi ha permesso di scoprire se sia stata soppressa o se sia morta della sua bella morte.

[24] Ho scritto un documento di lavoro in questo senso, in preparazione del capitolo Generale del 1971, con il titolo : « Per un Capitolo Generale profetico ». E’ possibile leggerne il testo su Internet :

http:/www.citeaux.net/wri-av/gen-chap-char  fra.htm.

[25] Ho trattato questa problematica in un articolo sulla Commisione Centrale, menzionato sopra

[26] Ho fatto parte di ciascuna delle Commissioni « ad hoc » che, nel corso delle Commissioni Centrali successive, elaborarono e revisionarono il Documento « Trattamento pastorale dei resoconti delle case » - con Dom Eduardo di Azul e M. Anne di Ubexy ad Orval nel 1995 ; con Dom Yvon d’Oka e M. Benedict di Berkel a Latroun nel 1998 ; con M. Benedict di Berkel e Dom Damian di Spencer a la Trappe nel 2001.